Piccolo Atlante di una Pandemia (Giugno)

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Covid19, crescono le ingiustizie e la fine dell’incubo è lontana

Dice il direttore regionale europeo dell’Organizzazione mondiale della Sanità, Hans Kluge, che per far finire la pandemia bisognerà vaccinare almeno il 70% della popolazione mondiale. E’ stato lapidario, il direttore: la campagna di vaccinazione nel Vecchio Continente, ha spiegato, è “troppo lenta. Non pensate che la pandemia di Covid19 sia finita. Il nostro migliore amico è la velocità, il tempo sta lavorando contro di noi, la campagna va ancora troppo lenta. Dobbiamo accelerare, dobbiamo aumentare il numero di vaccini”.

I dati gli danno ragione: nei 53 Paesi e territori che compongono la regione europea dell’Oms, inclusi diversi Stati in Asia centrale, solo il 26% della popolazione ha ricevuto la prima dose di vaccino contro il Covid19. Nell’Unione Europea solo il 36,6% della popolazione è stato vaccinato con almeno una dose e il 16,9% ha terminato il ciclo vaccinale.

Insomma, siamo lontanissimi in Europa da una copertura seria, figuriamoci nel resto del Mondo. Africa e Asia annaspano. In America Latina, cadono teste e ministri sull’altare della disorganizzazione e della mancanza di vaccini. La gente è morta e muore per strada, praticamente priva di cure. Immaginare una via d’uscita, a livello planetario, è difficilissimo. Pensare alla ricostruzione economica ancora più velleitario.

Economie, democrazie e collettività escono pesantemente colpiti dal virus. Il numero di Paesi che, in nome dell’emergenza, ha visto calare drasticamente il proprio livello di democrazia è cresciuto in modo esponenziale, in questi mesi. Parliamo di Stati dell’Europa, Asia Centrale, America del Sud. I governi hanno avuto gioco facile nel girare la vite delle libertà, semplificato dalla paura dei cittadini e dalla loro necessità di sopravvivere. La pandemia – lo dice l’Onu – ha ridotto in povertà oltre 100 milioni di lavoratori nel Mondo. Di fatto, la diminuzione delle ore e la scomparsa di impieghi di qualità causati dalla malattia hanno annullato cinque anni di progressi nella lotta all’impoverimento del lavoro. Un recente rapporto dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO), dice che nel tempo del contagio, cioè dal 2019, oltre 108 milioni di lavoratori in più in tutto il mondo sono stati classificati come poveri o estremamente poveri. Se a questo aggiungiamo che già prima, nel 2018, le condizioni generali di lavoro erano peggiorate, abbiamo come risultato che nel 2022 il numero di disoccupati dovrebbe raggiungere i 205 milioni, contro i 187 milioni nel 2019. Il tasso di disoccupazione salirà al 5,7%, il più alto dal 2013.

Un disastro che, dal punto di vista geografico, colpisce soprattutto l’America Latina e i Caraibi, l’Europa e l’Asia centrale. Dal punto di vista umano, invece, sono le donne a subire la cosa in modo sproporzionato. L’occupazione femminile è diminuita del 5% nel 2020, rispetto al 3,9% di quella maschile, 112 milioni di donne corrono il rischio di perdere il proprio lavoro entro breve e quindi il proprio reddito. Ciò è evidente in Medioriente e Africa del Nord, dove le donne rappresentano solo il 20% della forza lavoro, ma le perdite di posti di lavoro dovute al Covid19, secondo le stime, incideranno sull’occupazione femminile per il 40%.  In generale, ricordiamolo, le donne rappresentano oltre il 70% della forza lavoro impiegata in professioni sanitarie o lavori sociali e di cura. Ad essere massacrata, poi, è l’occupazione giovanile, scesa dell’8,7%.

Mentre tutto questo accade, c’è chi sta meglio di prima. In solo nove mesi, infatti, le 1.000 persone più ricche del mondo hanno recuperato tutte le perdite create dal Covdi19. Ai più poveri – dicono sempre gli esperti – serviranno 10 anni. Una ingiustizia evidente. Ma, d’altro canto, questa pandemia è ingiusta. Uccide in modo disuguale. Le statistiche raccontano, ad esempio, che I brasiliani di ascendenza africana hanno il 40% di probabilità in più di morire di Covid19 rispetto alla popolazione di origine europea. Negli Stati Uniti, 22.000 cittadini afroamericani e latino-americani sarebbero ancora vivi se il loro tasso di mortalità fosse stato uguale a quello dei bianchi.

L’unica soluzione, per ora, resta quella indicata dal direttore Kluge: fare in fretta. Fermare la corsa del virus significa poter riprendere la vita normale e tentare di ricostruire economie e collettività. Sperando che, nel frattempo, di danni creati dalla malattia non siano diventati permanenti...

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