Per la libertà di informazione, anche in Europa

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Il 23 giugno 2007, quando un pescatore la trovò riversa sulle rive del Danubio, Irén Kármán era pressoché sconosciuta dall’opinione pubblica europea. Nel giro di pochi giorni il suo nome circolò sulle bocche di politici, uomini di cultura e sulle pagine dei maggiori quotidiani continentali. Kármán, che aveva da poco compiuto i quarant’anni, aveva passato gli ultimi due a indagare sulla speculazione sul gasolio. Un affare decisamente sporco, che aveva portato parecchi soldi nelle borse di alcuni uomini politici dell’Ungheria post-sovietica. Per loro e per i loro collaboratori, ancora legati a incarichi pubblici, l’iceberg di relazioni clientelari fra istituzioni, forze dell’ordine, magistratura e aziende private, di cui la giornalista aveva intravisto la punta, doveva restare nascosto. Tanto che nel suo lavoro per produrre un documentario sul “mercato nero” del gasolio, la giornalista aveva ricevuto diverse minacce, trovandosi sempre più isolata e dovendo rinunciare alla video-inchiesta in favore di un libro finanziato parzialmente in proprio.

Prima di arrivare al giornalismo e all’inchiesta sociale, Kármán aveva esercitato come avvocato, lavorando presso l’Helsinki Committee di Budapest su casi di richiedenti asilo e cittadini di etnia Rom. Un lavoro che l’aveva messa in contatto con le violazioni quotidiane dei diritti subite da molti, rom in testa. Quando si lavora per i diritti delle persone, anche in un paese che si definisce democratico, bisogna essere pronti a pagare qualche scotto, soprattutto se sotto le vesti della democrazia si nasconde una corruzione diffusa. L’Europa osservò con stupore la foto della giornalista in ospedale, mantenendo il distacco misto a diffidenza che spesso i media occidentali mostravano nei confronti degli stati orientali entrati da poco nell’Unione. Di lì a poco Kármán ebbe la fortuna di uscire dall’ospedale sulle sue gambe, ma la libertà di informazione nel suo paese rimase ancora piegata a interessi di parte.

Pochi mesi prima del pestaggio della giornalista, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa aveva diffuso una raccomandazione sul “ruolo dei mezzi di comunicazione di pubblica utilità nella società dell’informazione”. L’attenzione del Consiglio per un’informazione pubblica che fosse “fonte di dati e riflessioni imparziali e indipendenti, dagli elevati standard etici e qualitativi” non era nuova e il tema stava assumendo un certo peso anche all’interno dell’Unione Europea. A gennaio 2007 la Commissione aveva prodotto un “working paper” sul pluralismo dei mezzi di comunicazione. Il documento si apriva sulla difensiva, sottolineando che non era il momento opportuno per un’iniziativa comunitaria sul tema. Eppure proseguiva dando un’ampia definizione di pluralismo e enumerando tutti i fattori che mettevano a rischio la libertà, dall’eccessiva concentrazione della proprietà dei mezzi di informazione ai conflitti d’interessi di politici e dirigenti pubblici e privati, dall’assenza di forme di tutela legale per giornalisti e editori alla mancanza di varietà di fonti e di educazione alla cittadinanza mediatica, collegandosi ai new media e alla creazione culturale. La diversità dei contesti nazionali, si diceva, non permetteva in ogni caso di pensare a un’armonizzazione delle politiche a livello comunitario. A distanza di sei anni la posizione della commissione sembra però meno ferma. A intaccarla ulteriormente negli ultimi mesi è intervenuta una campagna europea, l’Iniziativa Europea sul Pluralismo dell’Informazione, che intende partire dal basso per dare un segnale alla politica comunitaria.

Anna Lodeserto, che coordina la campagna per European Alternatives, racconta come l’Iniziativa parta anche da lontano. Innanzitutto da una riflessione di anni, che ha visto impegnati giornalisti e studiosi di diversi paesi in un lavoro di redazione di una proposta di direttiva europea sul pluralismo dell’informazione. Peggy Valcke, docente universitaria belga, Peter Molnar, intellettuale e ricercatore ungherese e il docente italiano Roberto Mastroianni hanno redatto un testo radicato in un’idea di Europa unita e plurale, capace di intervenire all’interno degli stati secondo il principio di sussidiarietà. La nuova direttiva, o al suo posto una revisione della direttiva sui servizi di informazione audiovisivi, dovrà (o meglio dovrebbe) garantire che in ogni stato esista un’autorità di supervisione e monitoraggio indipendente e rendere incompatibili incarichi politici e attività nell’informazione. Con l’obiettivo secondario di rendere il mercato europeo dell’informazione più aperto e concorrenziale, così che possa contribuire a una reale cittadinanza comunitaria.

“L’attenzione – sottolinea Lodeserto – è partita da Italia e Belgio, dove negli ultimi anni si è assistito a pericolose ingerenze della politica e a eccessive concentrazioni di proprietà. La coalizione per l’Iniziativa si è poi rafforzata con l’ingresso di nuovi stati dell’Unione come Romania, Ungheria e Bulgaria, a fianca di Germania, Regno Unito, Olanda e Portogallo”. Il conflitto di interessi italiano, il “quarto potere” mediatico di Murdoch nel Regno Unito e le leggi fortemente repressive del governo ungherese di Viktor Orbán sono le vicende più note all’opinione pubblica europea. “Eppure – spiega la coordinatrice – situazioni a rischio si registrano in diversi paesi, anche a livello regionale come nel sud della Francia”. L’interconnessione dei mercati dell’informazione e la crescente importanza della costruzione di una cittadinanza europea potrebbero dunque far cambiare idea alla Commissione, che nel frattempo, dal 2007, ha continuato a occuparsi del tema in modo significativo.

Uno studio indipendente ha presentato nel 2009 un modello di valutazione del pluralismo dell’informazione tramite un indicatore del livello di rischio per paese, mentre il 2011 ha visto la nascita di un Gruppo di Studio su pluralismo e libertà d’informazione, promosso dalla vice-presidente della Commissione Neelie Kroes, delegata per la così detta agenda digitale dell’Unione, e la creazione del Center for Media Pluralism and Media Freedom dell’Istituto Universitario Europeo di Firenze. A far cambiare idea potrebbe essere anche, nella speranza dei promotori European Alternatives e Alliance des Journalistes, l’Iniziativa appena partita. “Siamo partiti bene, con l’adesione di numerose organizzazione nazionali e transnazionali, ma da qui a dicembre 2013 la strada è tutta in salita”.

L’Iniziativa Europea dei Cittadini è infatti una novità assoluta: inaugurato nel 2012, è uno strumento di democrazia diretta europea ancora da testare, per lo più sconosciuto dall’opinione pubblica. Un’Iniziativa deve partire da almeno 7 paesi e portare alla raccolta di 1 milione di firme nell’Unione, con una quota percentuale minima per paese proponente. Il tutto in un anno, per via cartacea o telematica, compreso il periodo per la validazione delle firme da parte dei singoli stati e con l’obiettivo di “forzare” la Commissione a aprire un processo decisionale sul tema. Una corsa contro il tempo che per Istvan Hegedus, ricercatore ungherese e animatore del think thank Hungarian Europe Society “non potrà che fare bene alla società civile europea come a quella ungherese”. La legge sui media approvata nel 2010 dal governo guidato da Orbán prevede infatti “un’ingerenza eccessiva dei partiti, tramite un Consiglio dell’Informazione di nomina politica, in cui siedono esclusivamente membri del partito Fidesz”. Nonostante i richiami dell’Europa e la posizione della Corte Costituzionale, la legge non è stata abrogata e il governo mantiene una linea politica ambigua e “euro-pessimista”, che ha portato alla censura di fatto di alcune radio private. Per Hegedus, fra i principali divulgatori dell’Iniziativa nel paese, la campagna appena iniziata rappresenta “un’ottima occasione per costruire maggiore coscienza, per mostrare agli ungheresi come l’Europa non sia solamente l’imposizione dall’alto di regole ma anche un luogo di democrazia partecipativa. La società civile europea può aiutare quella ungherese a rafforzarsi, a esprimere posizioni critiche, così come il caso ungherese potrebbe aiutare l’Europa a prendere coscienza dell’importanza di predisporre strumenti legislativi comunitari per la tutela del pluralismo”.

Fino a oggi sono 14 le Iniziative dei Cittadini in firma e per nessuna la scadenza è vicina, come non è vicino il traguardo del milione di firme. La sfida è significativa ma si tratta di un’occasione importante in cui l’Italia, recentemente richiamata dall’O.S.C.E. per il caso di un giornale locale minacciato dopo un’inchiesta sulla criminalità organizzata, dovrebbe essere in prima fila. “Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati”.

L’articolo 11 della Carta Europea dei Diritti Fondamentali richiede oggi una tutela più forte e un’opinione pubblica europea più attenta. Una comunità mediatica in cui Irén Kármán non sarebbe stata sola e in cui giornalisti e cittadini che inseguono frammenti di verità plurali si possano incontrare senza timori e senza ingerenze eccessive di chi persegue altri interessi.

Giacomo Zandonini

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