Per il diritto alla comunicazione

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Viviamo in un villaggio globale oppure siamo sempre più vicini al grande fratello? Il diritto all'espressione sancito nella dichiarazione dei diritti dell'uomo va rivisto dopo cinquant'anni? L'informazione sta diventando uno strumento di politica internazionale di promozione della guerra? Queste alcune delle domande proposte da Jason Nardi di Unimondo che ha coordinato il seminario "Per il diritto alla comunicazione" - svoltosi ieri a Perugia, nel corso della 5° Assemblea dell'Onu dei popoli.

Fra i primi a porre l'accento sulle difficoltà nel garantire l'onestà dell'informazione di guerra è stato Ennio Remondino - giornalista Rai: "Negli ultimi 15 anni ho seguito molti conflitti e ho compreso che la guerra estremizza tutto. E' comunque un prodotto che va venduto, esaltato o distrutto". Remondino ha poi tentato di spiegare, da un punto di vista tecnico come siano cambiati i metodi di gestione delle informazioni di guerra. "La parola guerra non viene utilizzata per favorire una sorta di scelta ideologica che non produca danni. Non si parla più degli effetti devastanti dei conflitti, ma di effetti collaterali. In Vietnam, l'uso della telecamera sul campo di battaglia ha avuto effetti devastanti - ha spiegato Remondino. Da quel momento è scattato il tentativo di emarginazione del reporter. Non potendo però controllare la "fuga di notizie" si è passati al processo inverso, quello dell'inondazione: riportare talmente tanti elementi da far saltare il concetto stesso di informazione. L'inondazione, però, affoga la notizia". Secondo il giornalista questo è quello che si è verificato in Iraq, quando, ad esempio, è stata data, in tempi diversi, la conquista di Bassora.

Altro elemento che distorce l'informazione è la necessità di fare audience, che inevitabilmente porta ad una spettacolarizzazione dei fatti. "La televisione fissa le regole della guerra - dice Remondino. Porta il suo set ai margini della trincea. I presentatori del vanno in prima linea". A conclusione del suo intervento il giornalista ha rivolto, in modo provocatorio, alcune domande alla platea, ribadendo il concetto che l'informazione di guerra è, ormai, tutta embedded : "il diritto al giornalismo del dubbio può ancora essere invocato? Può il giornalista preoccuparsi di chi deve essere informato oppure deve suonare la tromba, seguendo l'esercito, e infilarsi nei letti dei governanti?". Non è mancato un richiamo al pluralismo, un tema caro a Remondino: "Nei paesi europei non esiste una norma che garantisca il pluralismo informativo e questo è anacronistico.

Su questo tema ha posto l'accento anche Roberto Savio dell'IPS. "Il nostro Paese si sta preoccupatamene avvicinando ad un bipolarismo informativo: Berlusconi-Murdoch. Nel resto del mondo la situazione non è migliore. La stampa degli Stati Uniti dà un messaggio unico al quale si sottrae solo il tre per cento del totale dell'informazione americana. Il sistema informativo è talmente rigido che non permette voci alternative, il risultato è l'appiattimento delle notizie". Savio, concordando con l'analisi di Remondino, ha sottolineato che le notizie per diventare appetibili devono spettacolarizzate e da attori conosciuti e che etica e responsabilità del giornalista sono concetti che hanno perso significato. Savio ha poi rivolto un invito anti globalizzazione dell'informazione. I valori promossi dal forum di Porto Alegre, solidarietà, uguaglianza e partecipazione, sono difficili da far entrare nel sistema comunicativo tradizionale. E' giunto il momento che venga messa in discussione anche la comunicazione tradizionale. Il giorno in cui saremo tanti, i vari Murdoch incentreranno i loro giornali sui temi che ci interessano".

A seguire è intervenuto Mario Lubetkin direttore di IPS (Interpress Service) che ha raccontato l'esperienza della sua agenzia indipendente, nata nel 1964 per dare voce al Sud del mondo, cercando di colmarne il divario con il Nord. Oggi, nel 2003, IPS svolge ancora questa funzione nella medesima maniera aggiungendo al suo impegno la resistenza ai processi di omogeneizzazione dell'informazione. Il flusso notevole di notizie che percorre i grandi media è nei contenuti uguale ovunque e i cittadini sono impossibilitati a capire realmente ciò che accade.

La considerazione che per la quantità eccessiva di notizie, le notizie non sono più tali ma "sono una melma untuosa, non informazione" è stata ribadita da Marisella Mazzaroli di Rai News24 che ha precisato che "in questo sistema l'ultima speranza rimasta è l'affermazione da parte dei giornalisti di una loro deontologia morale".

Maurizio de Matteis caporedattore di Volontari per lo Sviluppo ha ripreso dall'ultimo convegno organizzato dalla sua Rivista e titolato "Dove Murdoch non è ancora arrivato" alcune esperienze di giornalisti che dal Sud del mondo svolgono il loro prezioso lavoro. In Burundi ad esempio i giornalisti lavorano schiacciati tra la pressione esercitata dal governo e dai gruppi ribelli. In Argentina il problema fondamentale è la formazione dei giornalisti e non si tratta solo di considerare le difficoltà per i giornalisti del sud del mondo ma soprattutto la necessita di formazione dei giornalisti del Nord che parlano riguardo al Sud.

Lisa Clark ha descritto infine la "Campagna bandiere di Pace" come un esempio perfetto di comunicazione nonviolenta. Attraverso le foto dei balconi con le bandiere appese è arrivato ai paesi arabi il messaggio importante che la gente italiana era contraria alla guerra.

Carlo Gubitosa di Peacelink ha concluso il seminario affermando che non possiamo essere efficaci nel settore della comunicazione se non sosteniamo un nuovo modello di informazione che nasca dal basso dove la diffusione del sapere coincida il modo di agire. Gubitosa ha presentato degli esempi pratici che ogni cittadino sensibile può praticare: dal consumo critico di informazione (costituendo gruppi di lettura nella propria città) allo sviluppo sostenibile delle tecnologie di informazione e comunicazione, per superare non solo il divario digitale, ma anche e soprattutto il divario sociale tra i Paesi. [RB/EP]

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