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Pane dalle pietre
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Qui in Uganda è festa nazionale. Sono moltissime, e qualcuno ci dice scherzando che l’Uganda è una repubblica fondata sulle feste nazionali. Il Presidente Yoweri Museveni aveva introdotto anche la Festa Nazionale degli Eroi abolendo quella in onore dei Martiri Ugandesi, visto che cadevano a pochi giorni l’una dall’altra. Ma la popolazione si è ribellata affermando che chi era morto per Cristo aveva più diritto di essere onorato rispetto a chi era morto per la patria. Sono state mantenute entrambe. Ma festa non vuol dire riposo, anzi. La vacanza permette agli studenti, anche i più piccoli, di darsi da fare per guadagnare qualcosa, spesso per aiutare la famiglia a pagare le spese scolastiche. Ne vediamo moltissimi sui mucchi di terra rossa allineati al centro della strada che passa davanti al Lachor Hospital.
I ragazzini cercano i sassi con le mani o con le zappe e li ammonticchiano sul ciglio della strada, in attesa del camion di un commerciante che li rivenderà come materiale da costruzione. Appena questo arriva si precipitano a caricarli e quando il camion è pieno ricevono il loro compenso: 35.000 scellini, circa 10 Euro, da dividere con tutta la squadra. Il caposquadra cinese dell’impresa che ha l’appalto dei lavori di allargamento e pavimentazione li lascia fare perché semplificano il lavoro di livellamento. La strada collega la cittadina di Nimule, subito al di là del confine con il Sud Sudan, con Kampala ed è la principale arteria per il trasporto verso Nord delle merci provenienti dal Kenya e dalla Tanzania. Attraverso questa direttrice sono passati quasi tutti i materiali che hanno permesso al Sud Sudan, nell’euforia dell’indipendenza conseguita nel 2011, di vivere un periodo di febbrile ricostruzione e di promettente sviluppo. In territorio Sud-Sudanese la strada fino a Juba è stata completamente rinnovata e asfaltata grazie a fondi americani. Con il completamento di questo ultimo tratto il tempo di percorrenza fra la città di Gulu e Juba, la capitale del Sud Sudan, si è ridotto a meno di tre ore. Questo rende molto più facili gli spostamenti ma richiede un supplemento di attenzione agli autisti dei camion che non sono abituati alle alte velocità. In 50 chilometri incontriamo due rimorchi rovesciati sul bordo della strada e un camioncino che si è appena ribaltato.
I lavori di rifacimento della strada favoriscono anche altri piccoli traffici. Ai lati della parte già asfaltata che a Nord attraversa il Distretto di Adjumani si vedono dei mucchietti residui del pietrisco grigio che viene messo sopra la terra prima della posa dell’asfalto. Troppo costoso per l’impresa passare a raccoglierli con un camion e una squadra degli operai africani che si trovano diversi chilometri più avanti. Ma c’è chi segue la strada raccogliendo in fretta il materiale per portarlo in città con un camioncino e rivenderlo. Si deve far presto, perché i cinesi aspettano l’ispettore che deve valutare i lavori e il materiale deve sparire prima del suo arrivo. O si porta via subito o lo spargeranno nell’erba ai lati della strada. Questo pietrisco grigio viene dalle cave presenti in molte zone intorno a Gulu dove la roccia viene spaccata e sminuzzata con mine e frantoi. Ma pochi chilometri ad Est di Gulu, nella località di Laroo, si scava la roccia senza mezzi meccanici. In un ampio spiazzo sono sistemate circa 200 persone, quasi esclusivamente donne, che sminuzzano la pietra con un martello fino a ridurla alle dimensioni di una noce. Su un lato della radura si vede del fumo provenire da un punto più basso. E’ la cava, profonda alcuni metri, dove gli uomini fanno il lavoro pesante. Su lato ancora poco profondo accendono dei tronchi resinosi che scaldano la pietra fino a creare delle crepe.
Nella parte più profonda, sopra la pozza d’acqua che si è formata per lo scavo, si lavora di piccone sotto il sole cocente per estrarre il materiale grigio che viene poi venduto alle donne che lo sminuzzeranno. Ogni donna può portare in testa due o tre massi, risalendo la china della voragine. A seconda del tipo di materiale si decide la lavorazione. Piastre per rivestimento, se la stratificazione della roccia lo permette, ghiaia grossa altrimenti. Ogni lavoratrice si organizza per sopportare il caldo con dei ripari di fortuna, e picchia con un martello sul frammento preso dalla cava per ridurlo via via di dimensione. Da una parte i blocchi, dall’altra il mucchietto della ghiaia. Alcune hanno un bambino sulla schiena, altre sono visibilmente incinta. Anche qualche bambino è al lavoro, speriamo almeno che sia lì solo oggi che le scuole sono chiuse. Uno di loro ha vicino un fratellino che avrà al massimo due anni. Vuole provare anche lui. Si sente il rumore di 200 martelli che picchiano ininterrottamente, facendo saltare delle piccole schegge e coprendo le mani di polvere bianca, e c’è un viavai verso un mucchio più grande, con sulla testa un contenitore ricavato da una tanica, uguale per tutte. E’ la misura che vale 1000 scellini. A fianco del mucchio una donna con un registro tiene il conto della produzione e aggiunge ogni volta un segno vicino ad un nome.
E’ sicuramente un lavoro duro, ma è pur sempre un lavoro che può fruttare 10.000 scellini al giorno, circa 3 Euro. Grosso modo la paga giornaliera di un operaio, che può servire per pagare le tasse scolastiche di un figlio. Un camion di questa ghiaia vale circa 300.000 scellini, meno di 85 Euro. Troppo cara per adesso, quella raccolta lungo la strada viene venduta a 250.000. Per fortuna di quella non ce n’è molta. Un uomo più anziano ci racconta che ha iniziato lui per primo quasi 20 anni fa, ed erano solo in due. Adesso è lui che gestisce il sito e probabilmente decide chi può lavorare li e a quali condizioni. Guadagna bene, ma prima di andar via non esita a chiederci: “non mi lasciate niente per il tè ?”.
Pierino Martinelli
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