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Palestina: liberati prigionieri politici e pacifista Vanunu
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Circa ottomila persone hanno partecipato alla manifestazione per la liberazione dei prigionieri politici palestinesi, tenutasi a Ramallah. Nessuna insegna di partiti, tantissimi familiari dei detenuti, gente comune e qualche decina di internazionali. Tutti presenti per rendere evidente quanta sofferenza porta con sé ogni famiglia. Infatti, quasi la totalità dei nuclei familiari denuncia almeno un caso di detenzione. Attualmente circa 5.400 palestinesi, alcuni dei quali minorenni, sono detenuti nelle carceri del Governo d'Israele. Molti sono i casi di "detenzione amministrativa", una modalità di incarcerazione senza accusa specifica o processo a carico, fuori da ogni logica di stato di diritto. Dal 1967, anno d'inizio dell'occupazione militare di Gerusalemme Est-Cisgiordania-Striscia di Gaza, a oggi, si contano circa 650.000 casi di detenzione per resistenza all'occupazione o per attività in partiti politici. Questo significa che il 20% della popolazione totale dei Territori Occupati Palestinesi è stata almeno una volta in carcere, cifra che corrisponde al 40% della popolazione maschile.
Il 21 aprile Mordechai Vanunu ha lasciato il carcere israeliano di Shekma, ad Askhelon: ha scontato tutti e diciotto gli anni a cui era stato condannato come spia per aver rivelato all'opinione pubblica israeliana e mondiale quel che i governanti dei paesi potenti già sapevano: il possesso di testate atomiche da parte di Israele. "Adesso la libertà!" scriveva agli amici negli ultimi mesi. Ma ecco l'ultima beffa, come riferisce oggi il quotidiano Haaretz: il servizio di sicurezza israeliano Shin Bet gli ha negato il passaporto, di cui egli ha fatto richiesta perché intenderebbe lasciare subito il paese e trasferirsi presso i genitori adottivi, gli Eoloff, due anziani pacifisti americani.
Non solo: potrà scegliere una città di residenza ma non potrà allontanarvisi, gli sarà proibito avvicinarsi a più di 100 metri da ogni ambasciata straniera o a più di 300 metri dai confini con i territori occupati; né avere contatti con stranieri, né direttamente né per telefono o per posta elettronica. Il tutto per almeno sei mesi, durante i quali il suo comportamento sarà monitorato; dopo, chissà. Ma se trasgredirà, ci sarà un nuovo processo a suo carico. Le restrizioni sono basate sulle clausole 108-109 della legge di emergenza passata nel 1945 sotto il mandato britannico. Il detenuto ha pochi giorni per fare appello; l'Associazione israeliana per i diritti civili è pronta a appoggiarlo. [AT]