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Padri liberi dal patriarcato
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Foto: Unsplash.com
Nobili anche se sconfitti, capaci di essere fermi anche nella prova: è questa una nuova declinazione del maschile e del paterno, che esprime un'altra idea di grandezza e di forza. Ivo Lizzola: «I maschi hanno bisogno di essere creduti nella loro capacità di tenerezza, senza che gli stereotipi affossino nel loro inizio le nuove sperimentazioni dell’appartenenza di genere».
Cosa c’è dopo il patriarcato? Quali modelli di maschile e di paternità hanno sostituito o stanno sostituendo quello centrato sull’autorità e sul possesso? Questa domanda – e le sue risposte – sono più interessanti della polemica se il patriarcato sia morto con la riforma del diritto di famiglia o no. Perché nella realtà è evidente che c’è del vero sia nel dire che il patriarcato non è morto altrimenti non avremmo tanti femminicidi, tante violenze, tanta paura a camminare sole per strada, tante donne senza la loro indipendenza economica. D’altra parte è vero pure che la società oggi è profondamente diversa da quella di 30 o 50 anni fa e che la cultura del patriarcato non è più quella dominante. Cogliere e fare spazio ai segnali del cambiamento maschile (lo diceva anche Stefano Ciccone, fondatore di Maschile plurale, in questa recente intervista) è un pezzo del costruire un’altra narrazione, un altro immaginario, un’altra identità. Ivo Lizzola è un pedagogista, già ordinario di pedagogia all’Università di Bergamo: non è un sociologo e non è un esperto di questioni di genere, però per tutta la vita ha studiato i cambiamenti della figura del padre. Ed ha la capacità non scontata di cogliere, dentro le relazioni più intime, i segni piccoli del nuovo emergente.
Lei ha messo in chiaro in premessa, “sono un pedagogista, non un sociologo”. Si occupa da anni di paternità e di come essa stia cambiando. Non possiamo non partire dalla parola della settimana, “patriarcato”: il suo giudizio sul tema qual è?
La nostra società non è più una società basata sul patriarcato, questo è vero. Non c’è più una diffusa cultura del patriarcato, ma ciò non toglie che forme di patriarcato continuino ad esistere e che il patriarcato prenda anche nuove forme. Sono vere entrambe le cose. Così come è un dato di fatto che esistono forme di violenza tra i generi che non sono ascrivibili al patriarcato. Il fatto è che il diritto non ha effetti immediati sulla vita sociale, perché le dinamiche della maturazione dei desideri e delle consapevolezze non hanno gli stessi tempi delle norme. Non possiamo dire che il patriarcato sia scomparso, perché nelle pratiche c’è e si ripresenta tanto più forte quanto più nelle relazioni tra i generi c’è incertezza, quando nella relazione – per il riconoscimento di sé – diventa importante il tema del potere e del decidere per altri: gli spazi di legittimazione della violenza, della violenza del maschile si aprono lì. C’è un legame molto forte tra violenza e fragilità, tra la violenza e l’incapacità di dare spazio a quella parola che esige l’esitazione del tempo. Invece di aprirsi alla ricerca paziente di nuove forme della presenza reciproca, di nuove scoperte della propria autorevolezza, si prende la scorciatoia dell’urlo e di quel riconoscimento immediato che la violenza illude di perseguire. In questo senso il genere più in affanno, più fragile, oggi è quello maschile...