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Oxfam: PvS impoveriti dai paradisi fiscali, perdite annuali per 124 miliardi di dollari
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"I Paesi in via di sviluppo (PvS) perdono ogni anno 124 miliardi di dollari di entrate a causa dei conti bancari di privati mantenuti nei paradisi fiscali". Lo ha denunciato Oxfam con un documento inviato al pre-vertice dei Ministri delle Finanze dei G20 riuniti a Horsham (UK) lo scorso weekend. Secondo un'analisi della Ong internazionale, almeno 6.200 miliardi di dollari della ricchezza dei Paesi in via di sviluppo sono mantenuti in conti "offshore" sottraendo entrate annuali tra i 64 e i 124 miliardi di dollari. "Se fossero inclusi anche i conti di ditte private le cifre sarebbero ancora maggiori" - sottolinea Oxfam.
"La perdita in entrare supera di gran lunga i 103 miliardi di dollari che questi paesi ricevono in aiuti internazionali allo sviluppo" - afferma il documento che evidenzia come "la fuga di capitali è un problema crescente che vede ogni anno un incremento dai 200 ai 300 miliardi di dollari". Oxfam chiede che una "regolazione più stringente dei sistemi di controllo dei 'paradisi fiscali' sia messa nell'agenda del Vertice dei Ministri delle Finanze del G20 in programma a Londra il 2 aprile prossimo.
Secondo la definizione dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) che riunisce i paesi più industrializzati, un paradiso fiscale è un paese o un territorio autonomo che non impone tasse (o solo quelle nominali), per alcuni non residenti diviene un luogo dove sfuggire alla tassazione nel paese di residenza e che possiede almeno uno dei seguenti criteri: mancanza di scambio di informazioni con le autorità degli altri paesi; mancanza di trasparenza; capacità di attrarre attività commerciali "non sostanziali", ossia società aventi l’unico scopo di nascondere e movimentare capitali occulti - riporta il sito 'paradisi fiscali.com'.
Nei giorni scorsi, dopo le pressioni internazionali soprattutto di Stati Uniti, Regno Unito e Germania, alcuni paesi europei - tra cui Svizzera, Austria e Lussemburgo - hanno dato la loro disponibilità a rivedere le norme sul segreto bancario e ad uniformarsi alle decisioni già prese da Liechtenstein, Andorra e Belgio. Anche il principato di Monaco sta decidendo di conformarsi alle regole dell'Ocse in materia fiscale in modo da non figurare sulla "lista nera" dei paesi che non cooperano alla lotta contro l'evasione fiscale: "lista nera" nella quale è tuttora presente la Svizzera che ha protestato dicendo di non essere un paradiso fiscale.
Proprio per denunciare le ingiustizie perpetrate dai paradisi fiscali la scorsa settimana l'isola-paradiso fiscale di Jersey è stata "invasa" da un nutrito drappello di Ong di mezza Europa - riporta la CBRM. Rappresentanti di realtà di rilievo internazionale come Oxfam, Action Aid, Friends of the Earth, Attac e l'italiana CRBM, tra le altre si sono riunite nella deliziosa isola a poche miglia marine dalla Francia ma fedele alla corona inglese per una due giorni di incontri pubblici sul tema "Centri finanziari offshore, passato, presente e futuro". "Purtroppo non vi ha partecipato il governo locale, sebbene fosse stato invitato" - sottolineano i promotori.
"Durante il meeting non solo si è ribadita la necessità di un'azione globale e multilaterale per risolvere una volta per tutte lo spinoso problema dei paradisi fiscali, ma si sono anche sfatati dei miti. Per esempio quello che dipingerebbe una località come Jersey abitata solo da persone facoltose per merito dell'industria finanziaria. E invece 8mila dei circa 90mila residenti nell'isola hanno bisogno del sussidio statale, a dimostrazione di come anche in un paradiso fiscale la finanza vada a beneficiare solo le elite e le imprese e che sarebbe ora che il modello di sviluppo venisse ripensato anche a queste latitudini" - evidenzia la CRBM.
Nella seconda giornata d'azione, tra lo stupore e la curiosità degli isolani, una cinquantina di attivisti e quasi altrettanti giornalisti hanno compiuto un 'tour guidato' delle principali banche presenti a Jersey (Citigroup, Deutsche Bank, BNP Paribas e Royal Bank of Scotland, per citarne alcune), che si stima proteggano nelle loro casseforti un capitale di circa 500 miliardi di euro. A ogni "fermata" sono state fornite numerose informazioni sul ruolo giocato dagli istituti di credito nel contesto della crisi finanziaria e soprattutto come le loro operazione siano state "facilitate" dall'utilizzo dello strumento dei paradisi fiscali. "Anche in questo caso nessun banchiere ha voluto prendere parte a una qualche forma di contraddittorio. Forse non hanno voluto aggiungere un'ulteriore preoccupazione alle tante che già li affliggono in questo periodo" - conclude la nota della CRBM. [GB].