Ordinati e… ossessionati?

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Foto: Unsplash.com

Lo scorso fine settimana ho fatto una rapida incursione in uno dei più famosi negozi d’arredamento che, partendo dalla Svezia, ha portato il culto dello stile nordico in giro per il mondo. Ordine, archivio, spazio organizzato e via verso il benessere fisico e mentale per noi che abitiamo case e uffici per gran parte del nostro tempo. E come non apprezzare questi ambienti lindi e ben pensati, dove tutto ha il suo spazio ed è facile reperire ogni cosa! Sappiamo infatti che le cianfrusaglie e il disordine non hanno affatto effetti benefici sul nostro quotidiano, e per citare solo un paio tra le molte ricadute negative ricordiamo che sono tra i fattori all’origine di una diminuzione della produttività e di abitudini alimentari malsane e scorrette. Ma davvero diventare manager organizzativi dei nostri spazi abitativi e lavorativi è così auspicabile?

Se lo chiede una persona a cui tanti, tra parenti e amici, hanno dato l’etichetta di “maniaca dell’ordine e della pulizia”. E in effetti, in questa descrizione così netta che spesso mi appiccicano pensando di farmi una critica, io mi ci riconosco molto e, guarda un po’, ne vado perfino fiera. Oserei dire che l’impagabile soddisfazione di riporre – e poi ritrovare – ogni cosa al suo posto in una casa piccola è una delle pochissime e seducenti certezze che vanto nella vita. E senza granché di aiuto da parte di guru dell’ordine, youtuber o influencer vari… tutta farina del mio sacco – o dei geni, o dell’imprinting familiare o… forse no, niente di innato. E soprattutto, niente di così prezioso.

Lo ipotizza la psicoterapeuta britannica Errolie Sermaine che, se da un lato riconosce come confusione e disorganizzazione possano indurre a stress cognitivi, rendendo vita difficile alla concentrazione e alla possibilità di portare a termine compiti anche banali, dall’altro lato suggerisce come gli standard di ciascuno siano molto diversi (e fin qui, potevamo intuirlo) e che di fatto la cosa importante dell’ambiente in cui viviamo o lavoriamo è “riconoscercisi”. Kate Ibbotson, professionista della psicologia e dell’organizzazione e fondatrice di “A tidy mind”, sostiene che essere ordinati non venga naturale alla gran parte delle persone per ragioni educative, perché quel “metti a posto la tua stanza” sentito tante volte da piccoli è associato a ricordi di doveri non piacevoli. Insomma, riordinare è noioso e se qualcuno ci aiuta a farlo – che sia una persona che lo fa di lavoro o qualche scaffale da comprare – ben venga. Caroline Rogers, della University of East London, si è per esempio occupata del tema a livello accademico, e attraverso i suoi studi ha corroborato la forse già nota sensazione per cui, dando attenzione alle nostre case, la nostra vita migliora in qualità, fondamentalmente perché, al di là delle ragioni pratiche, le case sono uno dei pochi luoghi dove (salvo tristi eccezioni) ci sentiamo al sicuro e rilassati.

Anzi, non del tutto. Perché spesso finisce che siamo ossessionati dal trovare i contenitori coordinati e più moderni, comprando “cose” in più che di fatto non occorrono in case e uffici già strapieni e, anzi, aumentano il numero di oggetti presenti. Insomma… che dobbiamo fare? Prima cosa, non farci abbindolare dalle immacolate immagini che vediamo sui social o sul web: il rischio è quello di trovarsi ancora più ingolfati da scatole di plastica o in tessuti acrilici che poi ci fa senso toccare, portariviste per le riviste che non abbiamo mai il tempo di leggere, ceste che prendono polvere e chi più ne ha più ne metta. Seconda cosa: non è comprando contenitori che si acquisisce un talento per l’ordine. Quel famoso “decluttering” che tanto sentiamo nominare parte da un’azione: comprare meno. Ed è seguito da un’atra buona idea: fare in modo che riordinare non diventi time-consuming tanto quanto perdere le ore a cercare quello che non troviamo nella confusione.

Mantenere un atteggiamento realistico verso i propri oggetti e il nostro modo di utilizzarli e occuparcene ci fa stare bene se vuol dire anche sapersi fermare prima che questa diventi un’ossessione. Ricordarci che c’è vita fuori dal nostro santuario casalingo, e che questa vita è tendenzialmente votata all’entropia. Quindi va bene considerare il proprio spazio d’elezione come una delle poche cose che possiamo controllare nella vita, ma è anche vero che va altrettanto bene non farlo. Di base, un’indicazione che può giovare alla gran parte di noi è la seguente: avere poche cose, attuali, gradevoli e con lo scopo di migliorare le energie di cui ci riempiamo guardandole. Niente soprammobili regalati dalla prozia che ogni volta che l’occhio cade lì ci vengono brividi d’orrore, niente oggetti che associamo a sofferenza e dolore, niente colori che ci creano inquietudine. Che siano ricordi del passato o promemoria per il futuro, in fondo per stare bene ci basta entrare dalla porta e sentirci accolti da un luogo che ci corrisponde. 

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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