Open Balkan: la Mini-Schengen che divide

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Foto: Unsplash.com

All’inizio, l’avevano soprannominata Mini-Schengen, ma si chiama Open Balkan Initiative. Il nickname è comunque utile a spiegare quali siano le finalità dell’iniziativa. Il progetto di cooperazione regionale ambisce ad eliminare molte delle limitazioni alle frontiere fra gli Stati balcanici extra-europei. Limitazioni che rallentano la circolazione di persone, beni, capitali e servizi. 

Tuttavia, finora solo tre su sei Stati dell’area hanno deciso di firmare l’accordo. I tre sono Albania, Macedonia del Nord e Serbia. Quindi, all’appello mancano Bosnia Erzegovina, Montenegro e Kosovo. 

L’iniziativa, nata nel 2019, dovrebbe partire a gennaio 2022 ed essere portata a termine entro il 2023. A prescindere da – e se – quali altri Stati decideranno di aggregarsi.  

Il 29 luglio scorso, a Skopje, si è tenuto l’Economic Forum on Regional Cooperation. In questa occasione, i tre leader Edi Rama, Zoran Zaev (da poco dimessosi) e Aleksandar Vučić hanno firmato un Accordo interstatale e due Memorandum of understanding. L’intento è di approfondire i legami politici ed economici fra i tre Paesi. 

L’Accordo riguarda la cooperazione per la prevenzione e la protezione dalle catastrofi. Questo prevedrebbe misure di mutua assistenza in caso di terremoti, incendi, inquinamento, incidenti di imbarcazioni, incidenti radioattivi, pandemie e catastrofi industriali. 

I due Memorandum, invece, si focalizzerebbero sulla facilitazione della circolazione dei beni e delle persone. 

In particolare, se verrà implementata la proposta di un accesso libero al mercato del lavoro, tutti i lavoratori e le lavoratrici potrebbero trovare lavoro negli altri Stati alle stesse condizioni dei cittadini locali.  

I primi di novembre si è tenuto un incontro trilaterale a Belgrado per fare il punto. 

Il serbo Vučić ha ribadito la validità della prospettiva di un mercato comune, sottolineando la necessità di stabilire tempi e modi. L’albanese Rama ha esortato a muovere i primi passi in vista del prossimo incontro a Tirana, previsto per dicembre. 

Per realizzare ciò che il vicepremier macedone Dimitrov avrebbe definito una soluzione europeista, saggia e giusta, i tre hanno previsto la creazione di un Consiglio ad hoc.

Chiaramente, la manovra ha l’obiettivo di spingere lo sviluppo economico dell’area e attirare investimenti stranieri. In questo senso, la libera circolazione faciliterebbe gli investimenti e solleciterebbe gli scambi. Perciò, gli Stati parte diventerebbero più attrattivi e competitivi sul piano internazionale.  

Sebbene l’iniziativa possa apparire positiva, alcuni hanno osservato le sfide di un progetto del genere, che potrebbero trasformarsi in limiti importanti qualora non venissero gestite in modo appropriato. 

In un post della think tank European Policy Centre (EPC), l’autore, Dušan Ristić, spiega che l’abolizione dei controlli alle frontiere – anche tenuto conto del livello di corruzione – potrebbe favorire le organizzazioni criminali e il traffico di droga. Senza contare il fatto che ciò complicherebbe anche i controlli doganali su cittadini e beni da Stati terzi. Infatti, per i Paesi aderenti si costituirebbe un regime di visa (visti) eterogenei, mentre verrebbero messe alla prova le politiche doganali e la questione dei diversi dazi. A luglio, il trio Rama-Zaev-Vučić aveva annunciato l’intenzione di lavorare ad un alto livello di coordinamento fra i diversi ministeri. Ciò includerebbe la creazione di un software dove condividere le informazioni. Ma il solo scambio di dati sembra una risposta un po’ debole rispetto all’entità delle sfide.  

Quindi, ci si chiede se l’iniziativa verrà davvero implementata e se, alla fine, Bosnia, Kosovo e Montenegro decideranno di aderirvi. Gli interrogativi nascono anche alla luce di quanto è successo ultimamente fra gli Stati del sud-est europeo. Non è un segreto che, specialmente negli ultimi mesi, nei Balcani occidentali non stia tirando una bella aria. 

Bosnia, Kosovo e Montenegro hanno declinato l’invito, rispondendo che preferiscono concentrarsi sulle misure già previste dal cosiddetto Berlin Process. Lanciato dalla Cancelliera Angela Merkel nel 2014, il Processo mira a incoraggiare la cooperazione fra i sei Stati balcanici extra-europei, nell’ottica della futura adesione al club dei 27. Uno degli aspetti del piano è proprio il Mercato regionale comune. Inoltre, il Berlin Process include più elementi rispetto ad Open Balkan: le strutture digitali, l’innovazione e un’unica politica degli investimenti in accordo con gli standard EU. Oltre a questo, ci sono il trattato CEFTA (Central European Free Trade Agreement) del 2007 e gli accordi bilaterali. 

Insomma, finora i tre sono rimasti scettici sulla necessità di ulteriori “duplicazioni”.

Il più critico dei tre è il Kosovo, per voce del suo premier Albin Kurti. Qui c’è da ricordare che la Serbia non riconosce l’indipendenza del Kosovo. E la disputa sulle targhe automobilistiche di settembre ha dato la misura della tensione che intercorre fra Pristina e Belgrado. Una tensione tale per cui sono state dispiegate le forze di polizia speciali ai valichi. 

Recentemente, il premier kosovaro ha detto di non essere tra i leader che ritengono possibile l’autosufficienza dei Balcani e che, per tanto, ogni misura dev’essere accompagnata da un’assoluta presenza e partecipazione dell’Unione Europea.

Invece, secondo i promotori dell’iniziativa, non si tratterebbe di una sovrapposizione con il Berlin Process. Anzi, la Open Balkan Initiative vedrebbe la luce proprio nel solco di questo accordo: il suo obiettivo sarebbe quello di implementare più velocemente le misure, in prospettiva della futura adesione all’Unione. 

Il premier albanese Edi Rama, in un commento su Politico.eu, ha sottolineato come questa sia un’occasione per avvicinarsi ulteriormente e concretamente all’Unione; ma sembra quasi una constatazione rassegnata e derivata dall’immobilità decisionale della UE nei confronti dei Balcani occidentali. 

In Agosto un portavoce del governo di Berlino avrebbe confermato il supporto dei tedeschi alla Open Balkan Initiative, in quanto ogni forma di cooperazione regionale è benefica. Avrebbe anche precisato che la cooperazione dev’essere comprensiva, inclusiva e aperta a tutti e sei gli Stati, come previsto dal Mercato comune regionale.  

L’affermazione avrebbe visto in disaccordo il kosovaro Kurti e l’albanese Rama sul fatto che la Germania supporti effettivamente l’iniziativa. 

Ciononostante, anche le prove di cooperazione bilaterale fra Albania e Kosovo si starebbero approfondendo. Venerdì 26 novembre, i due premier hanno firmato 13 accordi bilaterali con i quali verrebbero rilassate le misure di controllo alle frontiere fra i due territori. Inoltre, si prevedrebbe che i cittadini kosovari in Albania e i cittadini albanesi in Kosovo siano in grado di chiedere un permesso di soggiorno e lavorativo quinquennale con una sola applicazione. 

Inoltre, sarebbe previsto un segretariato che si occupi dello scoglio principale ai propositi: l’effettiva concretizzazione di questi e (molti) altri accordi firmati, ma non attuati.  

Tornando alla Open Balkan Initiative, i tre aderenti hanno confermato che le porte rimarranno aperte agli altri, ma che non possono aspettare chi non vuole partecipare al progetto. Sempre nel commento per Politico, Edi Rama ha anche chiesto il supporto della UE.  

E chissà se la UE si sbloccherà ora che il nuovo governo “semaforo” tedesco – la coalizione che governerà la Germania – ha indicato le sue priorità per i Balcani occidentali: supportare il processo di integrazione dei sei, spingendo l’avvio dei negoziati di adesione per Albania e Macedonia del Nord; sollecitare la liberalizzazione delle visa dei cittadini kosovari e lavorare per la normalizzazione dei rapporti Serbia – Kosovo, facilitata dalla UE; esortare una soluzione pacifica e duratura in Bosnia Erzegovina, sulla base dell’integrità territoriale.  

Staremo a vedere. 

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