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"Noi, sieropositivi..."
di Padre Aldo Marchesini, s.c.j.
"Ora tutti sanno che sono sieropositivo, sto facendo la terapia, sono vivo, sto bene e continuo a lavorare". Così ci scrive Aldo Marchesini, missionario dehoniano e medico. "Ho voluto impegnarmi per far sì che anche altri uomini e donne mozambicani potessero avere la stessa mia speranza di vita. Il progetto è partito. Sono arcicontento".
Quelimane, 9 novembre 2003
Carissimi,
rispondo alla vostra lettera in cui mi chiedete di raccontare la mia avventura interiore, messa in moto dalla notizia che mi ero infettato col virus dell'Hiv/aids.
Comincio dall'inizio. Io ho sempre amato il caldo e, tutti gli anni, ho ringraziato il Signore per avermi fatto vivere a Quelimane, celebre per il solleone e per l'umidità. Quest'anno, però, il caldo mi ha letteralmente stritolato. Varie volte mi sono sentito oppresso, frastornato, assillato.
Una notte, lo scorso febbraio, andai a curiosare nelle stanze preparate per gli ospiti per cercare un ventilatore. Lo trovai. Tutto contento, lo portai subito in camera mia e l'accesi per avere un po' di sollievo. Non riuscivo a capacitarmi di cosa mi stesse succedendo.....
......Il 10 marzo arrivai in Italia. Tutti, familiari e amici, mi dissero che avevo una brutta cera e che dovevo fare esami. Chiesi a fratel Amedeo, medico della casa provinciale dei sacerdoti del Sacro Cuore, di fissare una serie di esami clinici. Nella lista degli esami che sottoposi all'approvazione dei superiori inclusi anche il test dell'Hiv. "Non si sa mai" dissi.
E arrivarono gli esiti degli esami: transaminasi a 180, creatinina mossa, leggera anemia⅀......."Li hai presi proprio tutti, nel tuo ospedale!", mi dissero. "Ti mancano solo l'epatite C e la sifilide". E aggiunsero: "Riguardo all'Hiv, chiedono di ripetere il prelievo. Lo rifacciamo questa mattina stessa".........Confesso che non provai nessuna emozione particolare e tanto meno sconforto. (Ancora adesso non so rendermene conto). Come medico, parecchie volte avevo dovuto comunicare ai miei pazienti che erano sieropositivi, e che i loro sintomi ed il loro malessere erano dovuti all'Hiv. Era un dovere molto pesante per me e m'era capitato d'immaginare d'essere io nei loro panni. Avevo sempre scacciato il pensiero con una certa angoscia, tranquillizzandomi con il dirmi che non ero malato e che quelli erano soltanto fantasmi mentali.
Tutto rimaneva uguale e tutto era cambiato - e cambiato per sempre.
La consapevolezza della 'definitività' della mia nuova situazione era acutissima. Fu forse questo l'aspetto drammatico che riuscì ad affiorare alla mia coscienza riflessa....
....Il mio stato mostrava che l'infezione risaliva a diversi anni prima. A quando? Non riuscivo a ricostruire un episodio. Io faccio il chirurgo in ospedale ed è facile pungersi o ferirsi alle dita mentre si opera. Considerando che il 20% circa dei miei pazienti operati è sieropositivo e che cinque o sei volte l'anno capita a qualunque chirurgo di ferirsi, le occasioni non erano certo mancate. Per cinque anni, inoltre, avevo lavorato nella maternità dell'ospedale di Quelimane; anche lì le occasioni d'imbrattarsi di sangue erano state molte.
Avrei dovuto prendere per via orale un cocktail di tre farmaci, diviso in due dosi, una la mattina ed una la sera⅀ per tutto il resto della vita. Grazie a queste medicine, i virus in circolo vengono rapidamente uccisi e ridotti ad un numero insignificante, in modo che i CD4, riprodotti dal corpo in quantità maggiore di quella in cui sono distrutti, possano ricominciare ad aumentare. Non vengono però toccati i virus situati all'interno delle cellule, che continuano a vivere e a costringere le cellule a produrre sempre nuove copie di sé stessi. Di qui la necessità di continuare la terapia per sempre.
La speranza di poter convivere a lungo con la malattia mi consolava. Il pensiero, però, che questa speranza era radicata esclusivamente nel mio essere italiano e nella possibilità datami di accedere alla terapia mi tormentava. E i miei 'concittadini' mozambicani? Perché non era data loro una simile speranza? Perché era loro precluso l'accesso alla terapia? Perché, anche se disponibile, la terapia risultava al di là delle loro possibilità finanziarie? Sentii che avrei dovuto impegnarmi per far sì che anche altre uomini e donne - almeno gli abitanti di Quelimane - potessero avere la stessa mia speranza di vita.
Avevo sentito dire che la Comunità di Sant'Egidio di Roma stava iniziando un'esperienza pilota proprio in Mozambico, con lo scopo di offrire gratuitamente ai malati africani di Hiv/aids lo stesso trattamento d'eccellenza disponibile nelle nazioni ricche. Decisi di andare a Roma per parlare direttamente con i responsabili del progetto....
...Iniziata la terapia, avrei voluto ritornare subito a Quelimane, ma dovetti attendere e sottopormi a due controlli, a tre settimane di distanza l'uno dall'altro. Già al primo controllo, i virus erano scesi da 54.000 a 225 per ml, mentre i CD4 erano saliti da 265 a 320; al secondo controllo, alla vigilia della partenza, i virus erano 154 ed i CD4 345. La terapia era efficace. Potevo tornare in Mozambico senza paure! Avrei ricevuto i farmaci antiretrovirali con il corriere internazionale ogni tre mesi; per i controlli, avrei potuto servirmi del laboratorio di biologia molecolare della Comunità Sant'Egidio. Sebbene con cinque mesi di ritardo sulla tabella di marcia, l'8 agosto scorso sono rientrato in Mozambico ed ho ripreso il lavoro all'interno dell'ospedale.
Da allora, le trattative per creare le condizioni necessarie per iniziare la terapia antiretrovitrale con l'assistenza della Comunità di Sant'Egidio sono andate avanti speditamente. Il 24 ottobre scorso è stato firmato un accordo tra il ministero della sanità, la direzione della sanità della mia provincia (Zambesia - Quelimane è il capoluogo), la Comunità di Sant'Egidio e l'Associazione progetto Mozambico onlus, di cui è presidente un mio confratello dehoniano. L'accordo prevede l'inizio delle attività ai primi del 2004.
Carissimi, ne sono arcicontento!
Ho scelto di non nascondere a nessuno la mia condizione di sieropositivo. Ne ho parlato più volte in pubblico, qui a Quelimane, sia con i lavoratori dell'ospedale sia con i cristiani della città. Ora tutti sanno che padre Marchesini, il dottore dell'ospedale, è sieropositivo, sta facendo la terapia, è vivo, sta bene e continua a lavorare. Da pochi giorni sanno pure che la terapia è ormai disponibile anche per gli altri malati e che, quindi, non c'è più motivo di nascondersi, di non voler fare il test per paura di sapere. Molte sono le persone già venute a parlare con me, per essere consigliate ed incamminate verso la terapia.
Mentre le trattative erano in corso, abbiamo saputo che un altro grande progetto nazionale di cura per tutti i malati di aids del Mozambico è in fase avanzata di progettazione, grazie ai finanziamenti della fondazione americana "Bill Clinton". L'inizio di questo progetto è atteso per la fine del prossimo anno!
Carissimi, qui finisce il mio racconto. Ma l'avventura interiore continua, in compagnia di una moltitudine di altri sieropositivi del Mozambico. Non posso che ringraziare il Signore d'avermici introdotto e di aver condotto le cose in modo tale che il seme della speranza potesse, in così breve tempo, trasformarsi in un grande albero. Un albero che offre i suoi frutti a tutti quelli che ne hanno bisogno.
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