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Natale 2011. Stop alla barbarie
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E se fosse stato un senegalese ad ammazzare una coppia d’italiani a Firenze o un nomade a bruciare delle case popolari a Torino? Si sta per chiudere un anno affatto facile per gli immigrati. La crisi economica ha aumentato le disuguaglianze economiche e sociali tra gli stati e all’interno degli stessi. I diritti subiscono sempre più il ricatto delle compatibilità economiche, lo sgretolamento dei sistemi di welfare lascia ampie fasce di popolazione prive di prestazioni e servizi sociali essenziali e la politica sembra non in grado di fornire risposte adeguate tant’è che Veneto e Piemonte hanno tagliato dal bilancio sia la cooperazione che la convivenza.
Le ragioni per non cedere alla tentazione di assecondare il “voler popolare del prima noialtri” sono invece molte. Proprio la crisi in corso, che esplicita fino in fondo l’interdipendenza globale, dovrebbe indurre a riflettere sull’impossibilità di combattere le diseguaglianze restando ancorati a una concezione nazionale dei diritti e della cittadinanza.
Le politiche che vengono riservate ai migranti, ai soggiornanti stranieri non comunitari e ai rom si muovono invece nella direzione nazional popolare; segue la gente. Ed a seguir la gente, la storia insegna, ci si trova tutti a Piazza Venezia ad ascoltar un uomo solo che parla dal balcone.
L’Italia esce da un doppio biennio. Nel biennio 2008-2009 è stato istituito il cosiddetto “pacchetto sicurezza”, che, per fortuna, la società civile è riuscita a ridimensionare. In molti si ricorderanno l’obbligo di segnalazione da parte del personale sanitario. Nel biennio successivo è stata la volta dei sindaci sceriffo. Sono state emanate molte ordinanze creative in materia di ordine pubblico e sicurezza che hanno accompagnato provvedimenti finalizzati a restringere i diritti sociali dei cittadini stranieri. Si tratta di scelte insidiose che possono, a seguire, legittimare in futuro trattamenti differenziati anche tra i cittadini autoctoni.
Le violazioni dei diritti umani fondamentali nei Centri di identificazione ed espulsione, il trattamento riservato ai migranti tunisini nelle navi prigione allestite per “liberare” Lampedusa, il divieto di accesso alla stampa e alle associazioni non accreditate ai Cie ed ai Cara, dovrebbero dirci qualcosa sulla regressione pericolosa che sta subendo la garanzia dei diritti civili in un Mediterraneo che mai come prima vide in questi anni un export d’armamenti senza precedenti dal Bel Paese verso il nord Africa. In modo bypartisan. Esercito e rivoltosi.
Anche questo ha causato insicurezza nella sponda sud del mare nostrum, conseguenti emigrazioni ed allocazione di mano d’opera nelle nostre campagne, nell’edilizia ma anche nel settore dell’assistenza domestica e familiare tra informalità e lavoro nero. La facilità con la quale un conflitto verbale tra i poveri cittadini autoctoni e gli altrettanti poveri cittadini stranieri può trasformarsi in una tragedia racconta un sistema di relazioni fragile. Nei bar non si consuma solo alcol e caffè ma luoghi comuni che alimentano il rancore verso il diverso.
Il 2011 è stato un anno difficile per tutti. Il 6 gennaio morì Mohamed Bouazizi, 26 anni, il ragazzo che s’incendiò per protestare contro le forze di polizia tunisine. Iniziò la primavera araba. Sembrò un fatto lontano, estremo, in risposta alla discriminazione. Affatto. Seguì il suicidio di Nourredine Adnane, giovane venditore ambulante marocchino residente a Palermo che si è dato fuoco dopo l’ennesimo controllo subito dai vigili l’11 febbraio 2011. Stessa storia. Stessa risposta. La polizia forte con i deboli e debole con i forti.
E poi venne Pasqua. Ed il sindaco di Roma mentre il Papa parlava a San Pietro sgomberava i campi rom con le ruspe. Poi la propaganda razzista, peraltro controproducente, che ha attraversato la campagna elettorale per l’elezione del nuovo sindaco a Milano. Ricordiamo tutti la Moratti sventolare lo spauracchio: “con Pisapia più tasse e più immigrati”. Una Signora. Una donna fuori dal Comune... per fortuna.
E venne l’estate con l’omicidio di Imad El Kaalouli, 19enne marocchino ucciso dal suo ex datore di lavoro il 28 giugno 2011 a Desenzano del Garda. Sino all’inverno di Torino ove è stato bruciato un campo rom per un presunto stupro mai esistito ed inventato di sana pianta ed il far-west di Firenze. Qui la cosa che ha fatto più rumore non è stata la morte dei poveri Mor Diop e Modou Samb ma la dignità del popolo senegalese. Il suo portavoce Pape Diaw ha dimostrato fierezza, compostezza oltre ad un ottimo italiano, cosa rara tra le camicie verdi che alla stessa ora luogo diverso, fischiavano come pecorai (definizione non mia ma del presidente della camera dei deputati) ed altro....che, per amor patrio, non oso nemmeno scrivere. Ma ci sono due modi nonviolenti ed uno violento per rispondere a cotanta decadenza.
I modi nonviolenti: 1) La firma della campagna "L'Italia sono anch'io" su due leggi di iniziativa popolare per la riforma della legge sulla cittadinanza e per il riconoscimento del diritto di voto amministrativo ai cittadini stranieri non comunitari. 2) l’acquisto del libro, per Natale: "Cronache di ordinario razzismo". Da regalare a chi non sta dalla loro parte. Anzi. Soprattutto a chi.
Un modo violento. Ha fatto scalpore un corsivo (nella rubrica L’Amaca de La Repubblica) di qualche tempo fa dell’amico Michele Serra. La riporto a chiusura di questo articolo. Egli scrisse: “Se (come giustamente sollecita il Capo dello Stato) verrà concessa la cittadinanza ai figli di migranti che nascono in Italia, e che sono italiani per logica, per crescita e per educazione, ma non per la legge, dice il Calderoli che la Lega ‘farà le barricate’. Credo che ci sia un errore, annoso, al quale rimediare. Un peccato di omissione del quale rischiamo, presto o tardi, di doverci vergognare non solo di fronte ai figli di migranti che nascono in Italia, ma anche di fronte ai nostri figli. L’errore è questo: che ogni volta che Calderoli o un altro gerarca verde ha aperto la bocca per minacciare barricate, o schioppettate, o forconate, e sempre qualche causa ripugnante o qualche ragione tirchia, e sempre con quel ghigno gongolante e quei toni da taverna di chi si sente popolo in mezzo ai fighetti; avremmo dovuto rispondergli, metafora per metafora, che le loro barricate, se prima non arrivano l’esercito o i carabinieri a spianarle, gliele tiriamo giù noi con la ruspa e poi ci piantiamo su il Tricolore repubblicano, perché di vent’anni di razzismo organizzato ne abbiamo le balle piene, e di ruspisti ne conosciamo a gogò. La Lega crede di avere il monopolio dei modi bruschi, ma sbaglia”.
Buon Natale!