Meditare fa bene o fa male?

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Foto: Unsplash.com

Gratuita, praticabile ovunque in autonomia e perfetta compagna per tenere sotto controllo lo stress e la salute mentale. Chi non la vorrebbe una soluzione così conveniente per il benessere psicofisico? Esiste, e si chiama meditazione. Una pratica che, in generale, prevede la focalizzazione sulla consapevolezza del sentire nel presente, sull’osservazione di ciò che si percepisce senza giudizio, anche attraverso l’utilizzo di frasi rituali, parole-guida, mantra.

Negli ultimi anni, vista la sua adozione molteplice e sempre più significativa e diffusa, gli studi scientifici in quest’area sono aumentati notevolmente. Mostrando però che effetti controversi – e persino controproducenti – non sono affatto rari. Nel 2022, uno studio guidato dal professor Simon Goldberg, Dipartimento di Counseling Psychology dell’Università del Wisconsin, ha analizzato le reazioni di poco più di 900 persone che meditano regolarmente, dimostrando che oltre il 10% dei partecipanti riscontrava effetti avversi (i cosiddetti MRAE – meditation-related adverse effects) con un impatto non trascurabile sulla propria vita e della durata di almeno un mese. 

Secondo un lavoro di revisione di oltre 40 anni di ricerche, curato da Miguel Farias (Università di Coventry) e dal suo gruppo di lavoro, i più comuni effetti indesiderati sono ansia e depressione, seguiti da sintomi psicotici o deliranti, dissociazione e depersonalizzazione, paura e terrore: si tratta di conseguenze che possono manifestarsi anche in persone che non hanno segnalato problemi precedenti di salute mentale, che hanno avuto un’”esposizione moderata” a pratiche meditative e che poi possono mostrare sintomi anche prolungati nel tempo. 

Già nel 1976 il mondo dei “buddisti occidentali” aveva cominciato a ravvisare i primi effetti controversi delle pratiche di meditazione, con una delle figure più influenti del movimento delle scienze cognitive-comportamentali, Arnold Lazarus, che aveva dichiarato che la meditazione trascendentale usata indiscriminatamente poteva indurre “seri problemi psichiatrici come depressione, agitazione e persino scompensi schizofrenici”.

Questo non significa che la meditazione in generale, e in particolare la tanto di moda mindfulness, non possano portare benefici importanti al benessere della persona, anzi. Ma nel sovraffollamento di insegnanti (di cui non pochi improvvisati), video, app e libri… raramente le persone vengono informate rispetto alle possibili controindicazioni. Un interessante pubblicazione del 2023 di Ronald Purser,McMindfulness, sostiene che la mindfulness sia diventata una sorta di “spiritualità capitalista, con un valore stimato solo negli Stati Uniti di 2,2 miliardi di dollari. Lo stesso Jon Kabat-Zinn, personalità chiave del movimento della mindfulness, ha ammesso in un’intervista di qualche anno fa a The Guardian che “il 90% delle ricerche sugli effetti positivi della meditazione è inferiore agli standard usuali o previsti e necessita di ulteriori approfondimenti”. Eppure l’entusiasmo e la fiducia in questa pratica, capace di modificare non solo le persone a livello individuale ma anche le comunità nella loro dimensione collettiva, resta uno dei tratti fondanti dei suoi praticanti e, condividendo in questo lo slancio delle religioni, convince anche molti atei e agnostici alla luce del suo potere di aumentare la pace e la compassione, dentro se stessi e nel mondo.

La questione etica si pone: quanto è corretto promuovere le pratiche meditative senza menzionarne i possibili effetti indesiderati? Molti insegnanti, come hanno dichiarato persone incorse in conseguenze non previste, tendono a minimizzare la cosa o perfino a non credere ai propri studenti, sostenendo che, continuando le meditazioni, gli effetti collaterali scompariranno. Le ricerche su come praticare in sicurezza la meditazione sono molto recenti e quindi non ci sono ancora suggerimenti sufficientemente chiari e verificati da condividere con le persone che si trovano a sperimentare stati di coscienza inusuali senza potersi avvalere di strumenti per capire e interpretare quegli stati. Per ora, senza davvero consigliare di eliminare le pratiche meditative dalle proprie vite se esse apportano davvero dei benefici apprezzabili a livello personale, è però bene non generalizzarne il potere taumaturgico e sapere che esistono siti che accompagnano una meditazione sicura e pubblicazioni accademiche che possono guidare i praticanti anche attraverso eventuali conseguenze inaspettate e non benefiche. Come per ogni promessa di guarigione e benessere, anche per le meditazioni serve un “bugiardino” dei possibili effetti collaterali, elemento che non ne annulla affatto l’utilità e che non vanifica i riscontri positivi, ma che permette la trasparenza necessaria perché non siano considerate la panacea di ogni male, personale o sociale.

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