Mattarella, un Presidente che dialoga. Anche in silenzio

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Confesso subito di essere di parte. Sono molto soddisfatto della nomina di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica. Ho conosciuto di persona l’onorevole Mattarella, ricordo pure una telefonata che mi fece quando era ministro della difesa nel secondo Governo presieduto da Giuliano Amato. Io ero un giovanissimo militante dell’allora Partito Popolare Italiano (diventato poi Margherita e quindi confluito nel Pd). Eravamo nel 2001, alla vigilia delle elezioni politiche che videro il trionfo di Berlusconi.

Lo sguardo del politico siciliano mi colpì subito. Come la sua pacatezza, i suoi modi gentili, la sua cultura. Il suo modo di parlare. Tutto sempre improntato alla misura e all’ascolto. Stare in silenzio è una delle sue maggiori virtù. Nel 2008 ha lasciato la politica: da allora si trovano pochissime sue interviste. Sparuti interventi. Dal 2013, quando è stato nominato membro della Corte costituzionale, non si rintracciano sue dichiarazioni: come si dice il giudice “parla con le sentenze”. Da questo punto di vista è davvero l’opposto del guascone Renzi e degli odierni politici che blaterano soltanto per finire in televisione.

Così si è dimostrato essere nelle sue prime parole rivolte alla nazione e alla sua visita – silenziosa ma fortemente evocativa – alle Fosse Ardeatine, un modo per ricollegarsi alle radici vere della nostra democrazia. Durante la cerimonia di investitura ha offerto alle telecamere pochissimi sorrisi, anzi un volto quasi contrito, carico di responsabilità. Il primo discorso da Presidente, molto applaudito, non ha offerto grandi novità. Non sono mancate le citazioni ai corpi sociali, alle forze armate; così come i doverosi appelli all’unità nazionale vissuta attraverso le istituzioni, ma pure mediante la garanzia di dare a tutti le medesime opportunità. Così il Presidente ha citato la seconda parte dell’art.3 della Costituzione in cui si parla del compito di “rimuovere gli ostacoli”, per garantire l’effettiva uguaglianza dei cittadini. Uno Stato che si articola non esclusivamente nelle istituzioni politiche, ma negli ospedali, nelle scuole, nei musei, insomma in tutto quello che è “pubblico”. Molti richiami sono stati fatti alla società i cui legami devono essere ricostruiti per assicurare l’unità del Paese.

Immancabili gli accenni alle questioni internazionali sul tappeto, a cominciare dal terrorismo (mentre, a mio avviso, è stata tralasciata la guerra in Ucraina). Il Presidente però si è districato bene, facendo pure un accenno ai sequestrati italiani in varie parti del mondo, citando padre Dall’Oglio, sgombrando le polemiche degli scorsi giorni dopo la liberazione delle due giovani cooperanti. Parlando di Europa, Mattarella ha detto espressamente quanto sia inutile chiudersi nel “fortino degli Stati nazionali”. Ampio il riferimento alla questione dei migranti e dei rifugiati: benché abbia utilizzato termini forse un po’ eccessivi (“emergenza” e “esodo”), il Presidente si è rivelato sensibile al problema.

Il resto della cerimonia ha visto i soliti schieramenti di forze armate in uniforme e la posa di una corona presso l’Altare della Patria al Sacello del Milite ignoto, con tanto di Inno del Piave. Insomma Mattarella non abolirà la cerimonia del 2 giugno.

Tuttavia anche da ministro della difesa, tra il 1998 e il 2001, il neo presidente ha agito secondo il suo stile. Oggi viene ricordato soprattutto per l’abolizione della leva obbligatoria: provvedimento di portata epocale, ma comunque realizzato quando i tempi erano ormai stramaturi.

Durante la guerra del Kossovo Mattarella si comportò bene, ovviamente avvallando le scelte interventiste dell’esecutivo (senza presentarsi però in mimetica come hanno fatto suoi predecessori e successori), incontrando anche il fronte “pacifista”. Ricoprì lo stesso incarico con il secondo governo Amato.  In questi giorni  è stata ripresa da alcuni giornali e dall’immancabile Beppe Grillo una vecchia polemica sulla questione dell’uranio impoverito: il ministro veniva accusato di aver minimizzato, o addirittura negato, l’utilizzo da parte delle forze Nato – e quindi anche dell’Italia – di proiettili contenenti la sostanza radioattiva durante gli interventi militari in Bosnia nel 1994-95 e in Kossovo nella primavera del 1999. Ricordiamo che queste armi, oltre ai nefasti effetti sulla popolazione e sui territori bombardati, causarono la malattia e la morte di numerosi soldati italiani. In realtà Mattarella non fu mai reticente, ma in una audizione presso la commissione Difesa della Camera si rammaricò “per il fatto che le organizzazioni internazionali forniscano solo ora e per nostra richiesta informazioni importanti per la comunità bosniaca e internazionale”. Su richiesta italiana vennero invece rese pubbliche le mappe dei siti colpiti in Bosnia.

Nel 2003, Berlusconi regnante, è stata modificata la legge 185/1990 sul commercio delle armi in senso meno restrittivo. Alex Zanotelli e i movimenti pacifisti gridarono allo scandalo. Mattarella votò a favore della legge solo perché era riuscito a far approvare emendamenti migliorativi al testo, dopo essersi confrontato a viso aperto con le organizzazioni impegnate nella campagna “contro i mercanti di armi”. In questo senso Mattarella si è dimostrato aperto al dialogo.

Gli auguriamo di continuare così durante il suo settennato. L’Italia ne ha bisogno.

Piergiorgio Cattani 

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