Maledetti i costruttori di morte

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Foto: Unsplash.com

Migliaia di persone condividono i propri saperi e il proprio tempo per immaginare, disegnare, costruire, commerciare e utilizzare nuove armi. Stanno nelle università, nei centri di ricerca, negli uffici di progettazione delle industrie, oltre che nelle accademie militari. Il peso della loro responsabilità assassina viene nascosto in tanti modi. Ogni tanto si ritrovano, in cenacoli come quelli di Aspen Institute e producono rapporti, con il contributo, ad esempio, della Leonardo Spa, della Marina Militare, di Intesa Sanpaolo e dell’Università degli Studi di Pavia.

Costruiscono strumenti di morte sempre più sofisticati e letali. Progettano armi di sterminio capaci di colpire autonomamente e automaticamente senza un controllo umano diretto. Così non c’è più bisogno di uomini che si infanghino gli stivali, che premano il grilletto e che rischino di intaccare la propria psiche. Nulla in confronto alla affidabilità dei sistemi unmanned: droni di superficie, siluri sottomarini, missili ipersonici manovrabili a distanza da personale in camice bianco tramite reti cyber satellitari. Nulla di diverso – del resto – da ciò che avviene nelle fabbriche, nei magazzini robotizzati, negli uffici automatizzati; ogni mansione è calcolata, procedimentalizzata, mirata. Nessun pericolo di errore, nessuna responsabilità individuale. La lontananza e l’invisibilizzazione del comando creano una idea di astrazione della violenza inferta. Apparentemente, almeno. Perché invece il peso della responsabilità assassina è stato solo verticalizzato e accentrato in capo a coloro che hanno deliberatamente deciso di mettere la propria (umana) intelligenza e le proprie personali conoscenze a disposizione della progettazione dei nuovi “sistemi d’arma”. Macchine e programmi, dati e codici in funzione di prestabiliti obiettivi di distruzione. Questi signori sono tra noi: stanno nelle università, nei centri di ricerca, negli uffici di progettazione delle industrie, oltre che nelle accademie militari.

Ogni tanto si ritrovano, in cenacoli come quelli di Aspen Institute e producono rapporti, vedi l’ultimo (link) redatto con il contributo di Leonardo e la collaborazione della Marina Militare, di Intesa Sanpaolo e dell’Università degli Studi di Pavia. Un piccolo spaccato dell’élite del potere. Il rapporto redatto da un pull di esperti si presenta come linee guida per operatori economici e decisori politici al fine di incrementare la filiera produttiva delle armi e, prima ancora, sdoganarne l’impiego. È qui infatti che i generali vincono le guerre – prima ancora che vengano combattute – nel legittimare la produzione di armi.

Con piglio militare veniamo informati dal Rapporto che “Il dominio militare è stato storicamente caratterizzato dall’essere un terreno fertile per l’innovazione, poiché la capacità di innovare le operazioni militari costituisce uno dei vantaggi che le forze armate possono mettere a frutto per ottenere la superiorità e la vittoria”. Per chi non l’avesse già capito e sperimentato: “La storia militare è in effetti costellata da innovazioni che hanno spesso, e sempre più frequentemente con la crescita delle capacità tecnologiche, riguardato gli equipaggiamenti prima ancora che la strategia e la dottrina, la cui evoluzione è stata anzi spesso costruita proprio sulla disponibilità di nuovi sistemi di attacco o difesa o informazione”...

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