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MST - Stedile: 'Non tutto dipende dal governo'
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Storicamente, i movimenti sociali vivono flussi di rafforzamento e di crisi. Al contrario di quello che comunemente si pensa, la rielezione del presidente Luiz Inácio Lula da Silva non è stata frutto di una fase di ascensione dei movimenti sociali e neanche avrà un ruolo fondamentale per destarli dall'apatia. Questa è la radiografia del momento politico brasiliano fatta da Jo㣀o Pedro Stédile, leader del Movimento dei Lavoratori Rurali Senza Terra ( MST), considerato il più articolato ed organizzato movimento sociale del paese.
Per Stedile, neppure il MST sfugge ad una realtà di perdita di credibilità popolare e, nella sua visione, se ha ancora una superiorità sugli altri movimenti lo deve al fatto di aver rifiutato il vincolo con un partito. Il MST è stato generato in un processo di critica alla sinistra tradizionale che strumentalizzava i movimenti sociali e anteponeva loro le sue divisioni di idee.
La Centrale unica dei Lavoratori (CUT), oltre ad avere un vincolo eccessivo con il Partito dei Lavoratori (PT), secondo Stédile, si è piegata alla crisi ideologica del sindacalismo quando ha scelto la strada della rivendicazione e del corporativismo. A sua volta, la chiesa progressista ha sofferto un grave capovolgimento nel papato conservatore di Giovanni Paolo II - e, oltre a questo, ha difficoltà a trattare con la massa disorganizzata urbana dei poveri.
Nella sede del MST, una casa antica nel decadente quartiere di Campos El㭀seos, a San Paolo, palcoscenico dell'aristocrazia paulista, Stédile ha conversato per quasi due ore mescolando analisi di congiuntura a sorsi di mate.
Il MST mantiene, o ha già mantenuto, rapporti organici con il PT? C'è stato una rottura?
Jo㣀o Pedro Stédile: Non abbiamo un legame. Siamo frutto di un nuovo periodo storico dove esisteva già una coscienza critica, all'interno la sinistra, sul comportamento della sinistra classica ed i partiti comunisti. Loro hanno sempre usato i movimenti di massa come semplici cinghie di trasmissione: Il Comizio Centrale dirigeva il movimento sindacale, studentesco, contadino e di quartiere. Questa esperienza è stata superata dalle crisi degli anni 60, dalle tesi di Guevara e dalle esperienze latino-americane.
Quando il MST è nato, ha incorporato la visione di come i movimenti di massa devono essere autonomi. Non si tratta di avversione ai partiti: troviamo che sono uno strumento fondamentale per l'organizzazione dello Stato. Ma l'esperienza della sinistra è stata tragica ed era importante per la costruzione dei movimenti di massa più sani e più attivi che mantenessero la loro indipendenza organica dai partiti, tenendo conto delle loro affinità ideologiche ed eventuali progetti in comune per la società.
Se l' MST fosse vincolato al PT, cosa sarebbe successo?
Sarebbe già finito. Nei partiti della sinistra classica ogni disputa ideologica interna veniva trasferita, automaticamente, ai movimenti di massa. E loro si dividevano in mille pezzi, non per differenze politiche, ma ideologiche. Dentro al PT c'è ancora traccia di questo fenomeno.
Il problema della CUT è il vincolo eccessivo con il PT?
I problemi della CUT sono di un altro tipo. La CUT non è riuscita a formarsi come un movimento di massa sindacale e, oltre a questo, si è sviluppata nella forma classica, europea, di una federazione di sindacati. Questa è la disputa politica che c'è stata nella fondazione della CUT: esistevano correnti di sinistra che difendevano la Centrale come un movimento con unità comunali, ma hanno perso la battaglia e ha vinto la centrale sindacale come federazione. Chi comanda alla base non è la CUT ma la direzione del sindacato. Ci sono altre difficoltà che la Centrale affronta, conseguenze dei tragici cambiamenti nel mondo del lavoro industriale, frutto del dominio del capitale finanziario, delle multinazionali e della rivoluzione tecnologica degli anni '90.
Oltre a questo, il movimento sindacale del Brasile forse ha sofferto con più intensità le conseguenze della crisi ideologica calata sul sindacalismo. Appena ha disposto di capitali, si è allontanato velocemente dalle idee socialiste, non ha più attuato la formazione ideologica e ha scelto di rimanere soltanto nella lotta della rivendicazione e del corporativismo, che non aiuta ad organizzare la classe lavoratrice nei periodi di crisi. Nella crisi, è l'ideologia a sostenere l'unità del lavoro.
La chiesa progressista mantiene la sua importanza nei movimenti sociali?
È dagli anni '90 che la chiesa ha patito gli effetti del neoliberalismo. Ciò ha diminuito la sua influenza sui settori organizzati della classe dei lavoratori rurali e, soprattutto, urbani. È stato lo stesso periodo del papato di Giovani Paolo II, che ha coinvolto il clero in una visione neo-conservatrice. Questo ha influenzato l'orientamento pastorale della chiesa brasiliana. Oltre a questo, lei [la chiesa] ha avuto un'esperienza molto importante nel periodo della dittatura militare: quella del lavoro pastorale clandestino. Con la ridemocratizzazione e la maggior ideologizzazione dei movimenti di massa, la Chiesa è tornata ad un campo più ecclesiale.
Oltre a questo, il neoliberalismo ha generato nella classe dei lavoratori un vuoto di coscienza politica con l'impoverimento delle masse. Con queste classi di poveri che vivono nelle grandi città la chiesa non sa trattare. La sua tradizione è di muoversi nel mondo contadino e presso settori organizzati: operai con lavoro fisso, una famiglia ben organizzata e con casa di proprietà. Ma quando la famiglia è destrutturata, o si tratta di un immigrato o di un povero diavolo, la chiesa non riesce a raggiungerlo, lasciandolo alla mercé dei pentecostali.
Perché i movimenti sociali sono deboli nelle città?
La dinamica della lotta di classe nella società produce ondate lungo la storia. Nel Brasile avemmo un'ondata di ascensione dei movimenti di massa - dove le classi di lavoratori si sono organizzati tentando la sfida di un progetto per la società - dal 1900 fino al 1935. Quindi, la borghesia industriale appena ascesa al potere impose una sconfitta e fondò una dittatura, quella del periodo di Getulio Vargas. Da questo nacque un riflusso dal 1935 al 1945. Le direzioni dei movimenti e le organizzazioni furono messi in galera finendo per essere distrutti.
Dal 1945 al 1964 avvenne una nuova onda di crescita con nuovi leader e nuove forme di organizzazione popolare. La classe dei lavoratori lottò per un progetto per la società e perse. I borghesi crearono un'alleanza con il governo degli Stati Uniti imponendo una nuova dittatura e, ancora una volta, il comando dei movimenti e delle organizzazioni furono incarcerati, torturati ed esiliati. Così è stato fino al 1978, 1979. Ci fu la crisi della industrializzazione dipendente, mancanza di lavoro e ritorno dell'inflazione - e questo produsse il rinvigorirsi dei movimenti.
I lavoratori iniziarono a perdere la paura verso la dittatura nonostante riconoscessero la colpa a questa e non al modello. E così si generò uno scenario di lotte, di ricostruzione delle organizzazioni dei lavoratori. Quindi nacquero la CUT, il PT e il MST. Questo processo durò fino al 1989. Nelle elezioni dello stesso anno, lottammo per un progetto per la società e Lula, come candidato, era soltanto un portavoce di questo progetto che fu sconfitto. La vittoria di Fernando Collor non fu elettorale o personale, ma il risultato di un nuovo patto tra le elite brasiliane che, davanti alla crisi del modello di industrializzazione, hanno adottato il neoliberalismo.
Nonostante tutto, era un periodo democratico⅀
Dal 1989 non c'è stato più bisogno della dittatura militare. È subentrata la dittatura del capitale e questo ha generato un riflusso dei movimenti di massa. Le direzioni non furono esiliate: sono state sconfitte politicamente o cooptate ideologicamente. Ciò ha prodotto, come in tutti i riflussi, crisi nelle organizzazioni.
La vittoria di Lula nel 2002 non smentisce questo?
I periodi di riflusso dei movimenti di massa sono la sconfitta della classe lavoratrice e sfavoriscono i progetti di cambiamento. La novità in Brasile è che durante la fasi di decrescita dei movimenti, quando nessuno se l'aspettava, Lula ha vinto le elezioni.
È passato diverso tempo prima che le forze sociali capissero che la vittoria non era del progetto del 1989. Ma non per disonestà: Lula ha dichiarato chiaramente nella Lettera al Popolo Brasiliano che avrebbe continuato la politica neoliberale.
La sua elezione non ha alterato i problemi fondamentali dei lavoratori. In un quadro così avverso le sfide sono profonde. Non dipendono dalla volontà politica o dalle decisioni, ma dal nuovo periodo storico. Questo richiede tempo per essere realizzato. È necessario che trascorra il periodo di una generazione e sorga una nuova generazione di leader della classe lavoratrice che guidi alla ripresa. Siamo in basso e non sappiamo se scenderemo ancora o se in un determinato momento ci sarà una ricrescita dei movimenti di massa.
Cos'è un progetto di classe lavoratrice?
La classe lavoratrice deve affrontare alcune sfide per ricostruirlo. Per prima cosa, deve riprendere le lotte sociali perché il miglioramento delle condizioni di vita e l'aumento di capitale non dipendono né dal governo né della volontà dei leader.
La lotta sociale è anche civilizzatrice, dal momento che unisce le persone dandogli unità e un senso di società. Quando la gente perde le possibilità di lottare socialmente si appella all'individualismo. E l'individualismo, per il povero, è banditismo. Rosa Luxemburgo avvertiva che la classe lavoratrice, nel corso della storia dell'umanità, ha solo due strade: il socialismo (non nel senso dottrinario, ma per la socializzazioni dei beni) o la barbarie.
Il secondo compito è quello di dedicare gli sforzi alla formazione dei leader: recuperare il valore dello studio e della conoscenza offrendo corsi ai gruppi, che naturalmente si proiettano dentro alla classe lavoratrice, altrimenti la capacità di interpretare il momento politico sarà sempre passibile di manipolazione - dalla parte dello Stato, dei politici o dei media. Che cosa fa la coscienza? Lo studio, la comprensione e la dedizione alla formazione. Non è una dottrina, o ricordare a memoria un manuale. È possedere la capacità di interpretare il mondo in cui si vive per trovare le soluzioni per i problemi.
Il terzo compito è quello di costruire mezzi di comunicazione popolari che abbiano influenza culturale e politica sul popolo.
Il quarto è la sfida di costruire un'unità tra i vari movimenti che ora si trovano in un momento di fragilità. I movimenti urbani e i rurali sono sgretolati. L'Assemblea Popolare - che in origine è un'idea visionaria della Confederazione Nazionale di Vescovi del Brasile (CNBB) - serve giusto a creare questa unità.
Nel 2006, l'assemblea ha elaborato un documento congiunto. Sarà presentato al governo?
Proseguiremo il dibattito con le nostre basi di un progetto per il paese, perché la gente possa capire il momento in cui viviamo. Così potremo entrare nel processo di costruzione di un progetto alternativo al neoliberalismo; sappiamo che è una cosa a lunga scadenza. Non è una somma di rivendicazioni. È un processo di accumulo di conoscenza per trovare le soluzioni per i problemi strutturali del paese. Questo è il tempo di piantare e non di raccogliere. Stiamo piantando alberi, non insalata che si raccoglie in tre settimane. Il tempo di maturazione durerà anni. È un processo unitario e abbiamo già intrapreso alcune linee: riduzione dell'elettricità, cambiamento nell'agricoltura, accesso all'educazione, lavoro e abitazioni popolari. Tutto ciò culmina nella sfida di accumulare consensi attorno a quello che potrebbe essere un progetto. Perché nessuno ce l'ha: né la sinistra, né il PT, né il governo, né la classe lavoratrice. Esiste soltanto l'egemonia assoluta del progetto delle classi dominanti.
Nel secondo turno delle elezioni presidenziali avete dichiarato la vostra opzione per Lula. Perché?
Il primo turno è stato una gara di marketing, non un dibattito di idee. La parte più reazionaria della borghesia ha scelto Geraldo Alckmin. Il dossier era un segno che sarebbe stato possibile sconfiggere Lula e l'opposizione usando tutte le armi - e ci si è arrivati vicini.
Questo ha alterato la correlazione delle forze verso la destra: era il consolidarsi del processo neoliberale, sotto il controllo della parte più reazionaria, ad essere messa in gioco. Ci siamo mobilitati per evitare il peggio.
Se avesse vinto Alckmin, avrebbe ritardato il processo di riorganizzazione delle forze della classe lavoratrice. Nella storia nulla si ripete ma, nel quadro della dittatura militare, è come se ci fosse stato il rischio di riprodurre l' AI-5 (Atto Istituzionale N.5, emanato dalla dittatura militare nel 1968).
La vittoria di Alckmin avrebbe prolungato il periodo di sconfitta della classe lavoratrice, con riflessi anche sull'America Latina.
Avrebbe indebolito le posizioni di Hugo Chavez e di Evo Morales (presidenti del Venezuela e della Bolivia). Nonostante non fosse una nostra priorità, ci siamo rivolti alle basi e abbiamo svolto un lavoro - non di propaganda elettorale - ma di formazione di spirito critico.
Per riscattare l'appoggio dei movimenti popolari, Lula ha adottato un discorso più a sinistra⅀
Lula, per interessi elettorali, ha fatto un'inflessione nel discorso più a sinistra e ha incorporato temi che erano strategici per poter sconfiggere Alckmin, come le privatizzazioni. E anche durante il secondo turno non c'è stata una disputa di progetti. Loro hanno solo recitato. La politica in Brasile è così disorganizzata per quanto riguarda gli interessi di classe che pure le dispute elettorali sono rivestite più da feticci politici che da forze reali: Lula era per il popolo e Alckmin per i ricchi. Però nella lotta politica non c'erano molte differenze di idee. È prevalso il feticcio e non le idee. Noi dei movimenti sociali scommettiamo soltanto sulla capacità del popolo di lottare. Se il popolo lotta, si mobilita, avremo una nuova ripresa e questo spingerà il governo verso sinistra. In caso contrario sarà ancora peggio.
Che cosa è cambiato dal primo al secondo mandato?
Il governo adesso è più onesto, più trasparente. È caduta l'illusione del 2002, quando c'era la convinzione che questo Lula era lo stesso del 1989. Ci sono voluti quattro anni perchè ce ne accorgessimo. Adesso il governo ha preso una posizione: "siamo di coalizione, non di sinistra. E nel mio governo ci saranno forze di destra, di sinistra e di centro". Ottimo. Sarebbe orribile se i ministri continuassero con la chiacchiera che questo governo è per i cambiamenti.
Qual'è la sua valutazione dei programmi sociali del governo Lula, specialmente del Bolsa Fam㭀lia (Borsa Famiglia)?
Ha salvato alcune vite, di coloro che pativano la fame.
Non crea un disturbo?
No. Il Bolsa Fam㭀lia serve gli strati più poveri della popolazione. Ma la gente deve essere consapevole che negli ultimi 15 anni la concentrazione del reddito si è mantenuta. Mai prima d'ora il capitale ha avuto una parte così grande, il 62% del reddito nazionale. È successo che con il governo Lula c'è stata una equità maggiore tra le persone che lavorano. Quelli che guadagnavano di più, la classe media, si è un po' proletarizzata. Quelli che erano al di sotto, senza reddito, cominciarono a prendere 74 reais (circa 26 euro) al mese. Ma questa non è la soluzione per i poveri, né la soluzione politica per il governo. Il governo non deve illudersi che questa potrà essere la sua base elettorale. In generale questa base ha votato Lula, ma ha scelto governatori conservatori e deputati conservatori. E così abbiamo un Parlamento transgenico. Abbiamo un presidente che ha sconfitto la destra e un Parlamento più conservatore che in passato. L'elettore brasiliano non è ancora spoliticizzato. Non vota per ideologia, ma per affinità, conoscenza e propaganda. Benché lo accettiamo come una misura necessaria, il Bolsa Fam㭀lia deve essere temporaneo. Le soluzioni reali sono la riforma agraria, la distribuzione di terre, la creazione di nuovi posti di lavoro, la costruzione di abitazioni popolari e l'universalizzazione dell'educazione. È questo che distribuisce il reddito.
Siete stati chiamati per dialogare con il presidente?
Abbiamo cercato di non perdere il tono formale nei dialoghi con il presidente. Non vogliamo trattare il presidente Lula come un compadre. I colloqui devono essere formali. Sì, il presidente ci ha chiamato per confrontarci, ancora a gennaio.
Quale sono i vostri suggerimenti per la riforma agraria?
Abbiamo una lunga agenda con punti che sono più che rivendicazioni: sono suggerimenti. Come vincolare la struttura amministrativa dell' Incra (Istituto Nazionale di Colonizzazione e Riforma Agraria) alla Presidenza, per dare più agilità all'istituto. Non è disprezzo verso il Ministero del Sviluppo Agrario (MDA). Il MDA deve occuparsi dell'agricoltura familiare; per la riforma agraria non serve a niente. Vogliamo una nuova struttura amministrativa per la riforma agraria che aggreghi tre autarchie: Incra, Conab (Compagnia Nazionale di Approvvigionamento) - fondamentale per facilitare la produzione degli assentamenti - la terza è la Embrater (Azienda Brasiliana di Assistenza Tecnica e Estensione Rurale) - che dovrebbe occuparsi dell'assistenza tecnica agli integranti degli assentamenti e ai piccoli agricoltori, che oggi non esiste. È una fantasia. Abbiamo anche idea che sia necessario dare priorità ad alcune zone per calmare i produttori onesti. Il modo in cui l'Incra attua le espropriazioni genera insicurezza. Lo spirito della riforma agraria e dello Statuto della Terra è quello di eleggere le zone dove prevalgono i latifondi. Allora si può riformare tutta una regione. Del resto non c'è bisogno di preoccuparsi. In Brasile esiste tanta terra mal utilizzata. Manca solo che il governo si svegli e che applichi la legge.
Quale la sua lettura della congiuntura latino-americana?
La lettura che la Via Campesina fa è che il risultato nell'ambito istituzionale ha generato tre blocchi di governo diversi. Uno è quello di sinistra, come Cuba, Venezuela, Bolivia e adesso, Ecuador. C'è il blocco dei moderati, che seguono politiche ambivalenti: a volte anti-neoliberale e anti-imperialista ed a volte pro-mercato. È il caso del Brasile: è contro l'Alca ma favorevole alla OMC. In questo gruppo ci sono anche Argentina, Uruguay e Perù. Il terzo gruppo è il pro-neoliberale: Cile, Paraguay e Colombia, nel Sud America.
Fonte: Valor Econ㴀mico tratto dal sito del MST
Intervista di Maria In㪀s Nassif e Cristiane Agostine
Traduzione: Marco Aurelio Sambaqui Gamborgi