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Lotta alla deforestazione: una questione di diritto
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L’Organizzazione internazionale per il legname tropicale (International Tropical Timber Organization, ITTO) è un’istituzione intergovernativa che promuove la conservazione, la gestione sostenibile, l’utilizzo e il commercio delle risorse delle foreste tropicali. I paesi membri sono 60 (dalla Repubblica democratica del Congo, all’Indonesia, al Brasile) e rappresentano l’85% della superficie globale delle foreste tropicali e oltre il 90% del giro d’affari legato al legname.
Dall’11 al 15 luglio si è tenuta in Indonesia una Conferenza internazionale dedicata allo sviluppo e alla modalità di gestione delle foreste con un’attenzione particolare alle dinamiche dei paesi asiatici: proprio l’Indonesia è uno degli Stati con la maggiore estensione boschiva del mondo e con il più alto tasso di deforestazione che fa diventare l’arcipelago il terzo produttore di gas serra dopo Stati Uniti e Cina.
Secondo il recente rapporto “Status of Tropical Forest Management 2011”, redatto dall’ITTO, la superficie di foreste sottoposta a un qualche tipo di certificazione e di controllo è cresciuta negli ultimi 5 anni del 50% arrivando a coprire circa 53 milioni di ettari, pari alla superficie della Thailandia (cioè oltre 500 mila km2). Ma essa rappresenta soltanto il 10% delle foreste tropicali: un segnale preoccupante perché implica l’impossibilità di regolare lo sfruttamento del legname e quindi di arginare la deforestazione e la distruzione di indispensabili polmoni verdi. Occorre ricordare che, secondo le stime dell’IPCC, il disboscamento indiscriminato incide per il 18% sulla quota di emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera.
Da decenni le foreste tropicali sono sottoposte a crescenti minacce: milioni di ettari sono ogni anno cancellati per far posto all’agricoltura, alla pastorizia e recentemente alla coltivazione di cereali come la colza utili per produrre biocarburanti.
Per fermare o rallentare la distruzione delle foreste si sono messi in campo svariati progetti da parte di istituzioni internazionali e di forum globali sui cambiamenti climatici: uno di questi è la creazione di un fondo di sostegno in favore della riduzione delle emissioni generate dalla distruzione e dalla degradazione delle foreste (REDD). Secondo Duncan Poore, ex direttore generale della IUCN, una delle più note e antiche organizzazioni ambientaliste: “il fondo REDD è una significativa promessa ma è essenziale che esso evolva nel riconoscimento e nel supporto di iniziative che si concentrino sull’utilizzo sostenibile delle risorse della foresta tropicale, inclusa la produzione sostenibile di legname, opponendosi al fatto che divenga primariamente un fondo per la conservazione delle foreste”. Una delle prime iniziative che hanno seguito l’impostazione REDD è stata progettata in Kenya dall’ONG Wildlife Works, con base negli Stati Uniti, che ha portato alla conservazione di 200 mila ettari di foresta vicino al Kenya’s Tsavo East and Tsavo West National Parks.
È evidente che la lotta contro il disboscamento può essere vinta non puntando a una irrealistica trasformazione della superficie forestale in un’area incontaminata e protetta, di cui non è lecito nessun tipo di utilizzo. La sfida vera è la gestione sostenibile del patrimonio ambientale. Il problema principale risiede nell’indifferenza generalizzata dei mercati occidentali di carta e di legname al fatto che i prodotti provengano da zone certificate; come al solito si pensa solamente ai risvolti economici: poiché da anni il prezzo del legname è cronicamente basso soprattutto rispetto a quello del cibo o delle risorse energetiche, è chiaro che nessuno vuole cambiare la situazione, con il rischio di un aumento di prezzi. Afferma Jurgen Blaser, già direttore della Fondazione Svizzera per lo sviluppo e la cooperazione internazionale, ora Helvetas Swiss Intercooperation: “Soprattutto nelle nazioni ricche, i consumatori non sembrano intenzionati a pagare prezzi significativamente più alti per legname certificato o verificato legalmente. Inoltre i prezzi del legname sono generalmente bassi mentre quelli per cibo e biocarburanti salgono in fretta. L’agricoltura è stata da sempre la maggiore causa per la deforestazione tropicale e ciò sembra difficile da cambiare in molti paesi almeno nel breve- medio termine”.
Tuttavia il problema principale per la tutela delle foreste rimane un aspetto a cui di solito non si presta la dovuta attenzione: quello dei diritti di proprietà, che in inglese viene definito con la parola “tenure”. Questo termine, di difficile traduzione in italiano, indica l’insieme delle svariate forme di diritto che singoli, comunità e istituzioni possono avere su una determinata porzione di territorio. Questi diritti vanno dalla proprietà all’usufrutto, dalla licenza di utilizzo alla servitù passiva, fino a una gamma di contratti ed accordi che variano da caso a caso.
Per quanto riguarda le foreste comunemente si pensa che esse siano di esclusiva proprietà dello Stato a cui basterebbe soltanto la buona volontà per proteggere il patrimonio boschivo. In realtà così non è, anzi la maggior parte della superficie delle foreste tropicali è una “terra di nessuno” una vera e propria “giungla di diritti” dove tutto è possibile, soprattutto lo sfruttamento distruttivo. Da ciò deriva che l’azione più urgente è quella di chiarire concretamente, a livello statale e internazionale, quali siano le norme legislative da applicare alle foreste e quali siano gli effettivi diritti di proprietà. Occorre definire confini e regole anche se fosse soltanto per “stanare” gli accordi sottobanco che Stati corrotti ma pure insospettabili raggiungono con multinazionali senza scrupoli allo scopo di un uso indiscriminato: il vuoto normativo è un disastro ancora peggiore, perché senza istituzioni regolative comanda il più forte e il primo che arriva.
Nel frattempo Unimondo ha lanciato la campagna 1 fan 1 albero per sostenere un progetto di riforestazione in Kenya. Un piccolo seme che cresce senza far rumore, ma che offre già da adesso un po' più d'aria pura al mondo: proprio come una foresta.