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Lo stupro in un video
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Whatsapp. Chi non lo utilizza sul cellulare? Probabilmente la maggior parte delle persone che possiedono uno smartphone. E sicuramente molti di coloro che, attraverso le nuove opportunità nate con queste applicazioni, amano esporsi, esprimersi, far sapere. Tra loro anche persone orrende, che decidono di condividere il video di uno stupro. Per vanto, per divertimento, per dimostrare quanto è facile usare il corpo di una donna.
E’ questo quello che, in India ma non solo, succede molto più spesso di quanto venga denunciato. Quello che succede a donne come lei, una qualunque, una che potrei essere io, tu, vostra figlia o vostra sorella o una vostra amica. Donne la cui dignità viene spogliata, aggredita e, perché no, persino derisa. E’ la fragilità che si accartoccia su un lamento e diventa un’implorazione: “non filmatemi, non lasciate traccia di quello che mi state facendo”. La disperazione oltrepassa il dolore, stigma sociale che marchia a fuoco l’umiliazione, a maggior ragione in Paesi dove il tuo posto nel mondo spesso coincide con la verginità che puoi garantire e con la purezza che puoi manifestare. Un modo sempre più diffuso per ricattare la vittima, che è vittima per la seconda volta.
Vi ricordate Sunitha Krishnan? Ve l’abbiamo raccontata su Unimondo quando per la prima volta è stata nostra ospite in Italia. Un’attivista “con le palle” si leggerebbe in qualche rozzo commento, sbagliando clamorosamente appellativo alla sua risolutezza, che non ha niente di quella virilità ridotta lì in basso, niente di quel figurato che associa sessualità e coraggio. Nella sua quotidiana crociata contro l’abuso e la tratta di donne e minori a scopo di sfruttamento sessuale Sunitha ha incrociato questo video. Non l’ha semplicemente cancellato, non ne ha rapidamente interrotta la riproduzione come ho fatto io, con i brividi alla schiena e un conato di vomito trattenuto in pancia. Sunitha ha preso il filmato e lo ha pubblicato su youtube, oscurando il viso della vittima e il suo corpo messo a nudo ed evidenziando il volto del carnefice nel suo sorriso beffardo e nella sua violenza oscena. Un video che in pochi minuti ha superato le 16.000 visite. Poi ha preso il link e lo ha incollato sul suo account twitter accompagnato da un messaggio: #ShameTheRapistCampaign, una campagna perché la vergogna ricada sullo stupratore. Poche ore dopo questo tweet, Sunitha è stata aggredita mentre era al voltante della sua macchina, presa a sassate. Ritorsioni a cui purtroppo non è nuova per le battaglie che combatte assieme all’associazione Prajwala da lei fondata in difesa di chi non ha voce, o di chi quella voce l’ha chiusa in gola per paura o per un’onta che appare senza rimedio.
Le poche parole che spendiamo su questo gesto si fanno occasione per una riflessione che riteniamo opportuno sollevare. Prima di tutto la necessità concreta e immediata espressa dall’azione di Sunitha: rintracciare lo stupratore e non lasciare il crimine impunito. In secondo luogo e, se possibile, quale atto che supera in importanza la punizione: oscurare la vittima. Non solo per rispetto e per rispetto e per rispetto ancora. Non solo per evitare una condanna sociale che le ha già in parte rovinato il futuro. Principalmente per ricordare a ciascuno e a ciascuna che l’identità della vittima non ci interessa: non ci importa se sia bella o giovane, di quale casta o di quale vestito. A noi che ci indigniamo e ci commuoviamo davanti alla brutalità quello che deve interessare è soprattutto lo stupratore. Da rintracciare e punire, ma anche da rieducare al rispetto del corpo dell’altro, soprattutto quando l’altro è declinato al femminile. Quello che deve restarci in testa, cerchio rosso che allerta l’attenzione, è che basta poco perché la vittima diventi colpevole per un atteggiamento frainteso, per un vestito troppo corto, semplicemente per il suo essere donna: ma la violenza di genere non è solo affare di femmina.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.