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Lin Hongyu. Un’altra politica è possibile
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Nasce il 6 aprile 1968 nel nord della Cina a Shenyang, città industriale di 8 milioni di abitanti, e giunge in Italia nel 1991 con in mano una laurea in chimica industriale.
Arrivata a Firenze entra in contatto con don Giovanni Momigli che da sempre si batte per la diffusione del concetto di interculturalità.
Inizia a collaborare con Spazio Reale in veste di mediatrice culturale, con ospedali e con la Questura di Firenze. Tiene corsi di imprenditorialità cinese, collabora con la Regione come interprete e accompagnatrice delle delegazioni cinesi in città.
Come assessore di Campi Bisenzio si occupa delle relazioni con la comunità cinese (un decimo della popolazione) promuovendo il dialogo per arrivare ad una convivenza più positiva e si impegna a fondo perché ai doveri corrispondano i diritti dei lavoratori. Il tutto anche promuovendo corsi per adulti al fine di capire la Costituzione italiana e il complesso della normativa legata al lavoro.
Che significato ha il Suo nome?
Giada Rossa.
Come mai in Italia?
Il sogno di molti giovani universitari era uscire dalla Cina nel post Piazza Tien an Men ove i giovani volevano solo denunciare lo stato di corruzione in cui era caduto il paese della rivoluzione di Mao (1949). Volevamo capire cosa fosse la parola libertà, democrazia. A quell’epoca volevamo tutti uscire.
E come andò?
Non fu facile. In Italia non riconobbero la laurea in chimica industriale. Con tutto il rispetto per il vostro ordinamento la laurea fu conseguita in una delle città industriali più grandi della Cina e non ne compresi il motivo.
Ed allora?
Mi misi a studiare altro. L’Italiano, naturalmente e l’inglese. Dopo 14 anni sono diventata “cittadina italiana”.
Lei viene da Shenyang e non dalle campagne a sud di Pechino come molti suoi conterranei.
La Cina è un pluriverso. Chi viene dalla campagna è più chiuso di chi viene dalla città. Molti che provengono dalle povere campagne non son passati attraverso le grandi megalopoli cinesi ed è per questo che “si fatica a relazionare”. Aggiungiamoci poi la barriera linguistica.
Ed ora è una dei 4 assessori di origine straniera in Italia. Quali politiche?
Innanzitutto abbiamo cercato di evitare la concentrazione etnica a San Donnino di Campi Bisenzio ove vi sono centinaia di laboratori per la produzione di borse. Lo feci con l’auto di un frate e di 2 comitati. Assieme al prefetto abbiamo fatto dei controlli affinché venissero prima conosciute e poi rispettate le legge di carattere sanitario.
Un vostro progetto ha anche vinto un premio dell’Unione Europea.
Si. Lo abbiamo fatto assieme a Nadia Conti (assessore alla Solidarietà e Cooperazione Internazionale Pace, Gemellaggi e Immigrazione).
Si chiama “città visibile”. Hanno partecipato persone immigrate da 86 nazioni. A Campi Bisenzio non si può parlare di invisibilità di un fenomeno che è invece tutt’altro che invisibile.
La città, tra le più ricche di presenza di migranti provenienti dalle diverse parti del mondo ha un livello di convivenza sociale tale da permettere all’Amministrazione Comunale di mettere in campo tutta una serie di azioni tese a rafforzare le relazioni e la reciproca conoscenza tra culture e storie diverse, e a favorire il processo di interazione tra le varie comunità.
Orgogliosa della sua carica politica?
Molto. Ma lo sono ancor di più gli immigrati di seconda generazione. Hanno capito che è possibile. Detto in uno slogan: Immagina, puoi! La cosa ha dato molta speranza ai giovani.
Organizziamo molti corsi d’italiano per cinesi ma anche corsi di cinese per italiani. L’ultimo ha 34 iscritti... . Tutte persone desiderose a far business nell’estremo oriente.
Non è la comunità cinese un po’ chiusa?
Affatto. Ripeto. I più vengono dalle campagne ma hanno un cuore grande così. Quando c’è stato il terremoto a l’Aquila mi hanno portato 24.500 euro raccolti per i terremotati. Mi hanno detto: “Dovevamo far pur qualcosa per la nostra seconda patria”. Inoltre molti imprenditori cinesi sponsorizzano eventi sportivo culturali e di giovani partecipano alla Perugia Assisi.
Se lei fosse al governo italiano.
I nostri giovani nati in Italia non possono andare all’estero con i loro coetanei perché non sono cittadini italiani e non hanno, quindi, il passaporto europeo. Stiamo attenti ai “luoghi comuni” che riguardano i cinesi. Alcuni sono molto offensivi. L’insegnate di mia figlia ha continuato a denigrare la storia cinese. Non è certo così che si favorisce l’interazione.