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Libano: le guerre degli altri
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Qana è una cittadina di circa 10 mila abitanti nel sud del Libano. Solo 12 km la separano dal confine con Israele o meglio dalla Linea Blu, il confine politico non ancora riconosciuto come confine tra stati. Secondo i libanesi è la stessa Cana citata nel Vangelo, quella delle celebri nozze e del miracolo, quando Gesù trasformò l'acqua in vino. Ma secondo gli israeliani no, quella città sarebbe in realtà Kafr Kanna nel territorio di Israele. Secondo Jamil - uno dei sopravvissuti all'attacco israeliano del 1996 - è per questo che gli israeliani si sono tanto accaniti contro la sua città, perché Cana è in Israele e i libanesi non devono sostenere il contrario. Il 18 aprile 1996 al termine dell'operazione Grapes of Wrath iniziata 3 anni prima, l'esercito israeliano bombardò il compaund Unifil, dove era di stanza l'esercito fijano. Molti civili si erano rifugiati proprio lì, pensando di trovare riparo alle bombe, mentre in 120 – inclusi donne e bambini – vi trovarono la morte. Oltre 100 i feriti tra i quali anche i caschi blu Onu.
Jamil da ormai 15 anni fa da guida sopratutto per i giornalisti che passano di qui. La base Onu è ormai un cimitero e lui accoglie tutti con un album fotografico, mostra le foto dei corpi martoriati dalle bombe, tra questi anche 17 persone appartenenti alla sua famiglia, lui per fortuna è un testimone. É convinto che gli israeliani non fecero nessun errore tattico, come dichiararono alla commissione d'inchiesta delle Nazioni Unite (in.pdf), ma colpirono volutamente i civili, e per lui neppure la stampa ha mai dato abbastanza rilevanza a questi massacri. Per questo vuole mantenere la memoria, raccontando la storia di quelle persone, mostrandone anche le immagini, alcune davvero troppo forti.
Nella Qana è ancora presa di mira, il 30 luglio viene bombardata una casa di civili facendo 30 vittime. Ma secondo Naji - libanese originario di un villaggio al confine con la Blue Line che oggi lavora come interprete - la diatriba sulla città del vangelo non c'entra nulla. Ora abita a Tiro e lui è convinto che la missione Unifil sia fondamentale per la risoluzione del conflitto e il mantenimento della pace: “ la missione Unifil è diversa dalle altre missioni, non è vista come un'occupazione, gli stessi libanesi sono contenti, sopratutto quando è composta da europei, perché la presenza degli europei - e degli italiani in particolare - funziona da deterrente per gli israeliani”. Secondo Najil quando gli italiani diminuiscono, i libanesi iniziano a preoccuparsi e a domandarsi se gli israeliani si stiano preparando a un nuovo attacco in Libano. “Gli italiani sono ben voluti dai libanesi, sono persone molto aperte verso gli altri come i libanesi, per questo ci troviamo bene”, afferma mentre sorseggia un te. Racconta di cinque anni fa, a luglio si trovava nel suo villaggio “nel 2006 la guerra è scoppiata subito, senza perdite, i libanesi hanno arrestato due soldati israeliani ed è scoppiata la guerra. Non sono più potuto uscire, per sette giorni sono dovuto stare chiuso in casa. Per i primi due /tre giorni mi arrangiavo, c'era un po' di spesa a casa, il quarto giorno si è rotto il congelatore, poi i bombardamenti andavano di qua e di là, non si capiva più di chi erano, non si dormiva né di giorno né di notte. Alla fine non c'era più da mangiare, con i bambini ancora piccoli, in più c'era la moglie di mio fratello qui in vacanza, che era anche incinta di due gemelli”.
Naji parla della sua fuga disperata alle 6 del mattino. “Quando ci sono forti bombardamenti in genere dalle 6 alle 8 non si bombarda, era l'unica finestra temporale per tentare di scappare, tutti mi dicevano ma no è pericoloso, e poi dove andiamo? Ma rimanere li secondo me era ancora più pericoloso”. In pochissimo tempo è riuscito a mettere 30 persone dentro una macchina “non so come siamo entrati, io stesso non so come sono riuscito a guidare, però con la paura, eravamo uno sopra l'altro. Tutte le strade erano chiuse, con una macchina normale era impossibile, per fortuna avevo un fuoristrada. Siamo arrivati fino a Tiro, e li la strada era chiusa, c'era una coda di almeno due mila macchine, la mia paura era più per le altre persone che avevo in macchina che per me, con le strade bloccate ho dovuto fare un giro enorme, per le montagne, passando da Saida, ci ho messo 12 ore ad arrivare a Beirut.” Naji è ancora sconvolto per come in tempi di guerra tutti si trasformano in sciacalli : “la gente ti sfruttava, ne approfittava della guerra, una cosa che pagavi mille lire la pagavi 30 mila lire. Per fortuna a Beirut ho trovato un appartamento, ma lo pagavo 400 dollari per 10 giorni, di solito lo paghi 100 dollari. Una volta arrivato a Beirut ho chiesto al personale della Croce Rossa di andare a prendere le persone che avevo lasciato, mio fratello, mia sorella, ma loro non sono riusciti ad entrare nel villaggio, i miei parenti hanno dovuto raggiungere la zona dove c'è l'ospedale, sotto i bombardamenti, ho dovuto mandare i tassisti a prenderli, mi hanno fatto pagare1500 dollari, mentre di solito prendono 50 mila lire! Ma in questi momenti cosa te ne fai dei soldi? O li spendi così o rischi di non spenderli mai più!”
Anche Naji ammette che Qana è sempre stata presa di mira, anche se lui non crede alla rivalità solo per essere la città del miracolo, lui ha notato una metodicità dell'esercito israeliano “a ogni guerra, prima che finiscano definitivamente i combattimenti, Israele è solito usare questa modalità: fa un grande massacro, e poi finisce i bombardamenti. E' successo nel '96 e così pure ha fatto nel 2006. Siamo consapevoli che la guerra è guerra però questo di colpire i civili, le ambulanze, non è un caso, non sono errori, è voluto, sembra quasi come se si aspettasse una forte reazione internazionale prima di fermarsi”.
Naji fa un cenno anche alla guerra civile che ha sconvolto il paese tra il 1975 e il 1990. Durante il massacro di Sabra e Chatila del 1982 si trovava in Italia “però mi hanno raccontato che sono arrivati dei collaboratori, più qualche comandante e colonnello israeliano, di pomeriggio hanno chiamato tutti perché si radunassero, poi sono entrati nel campo e hanno ucciso tutti, hanno massacrato tutti quelli che capitavano sotto tiro. Un massacro compiuto dalle milizie libanesi, dai falangisti che sostengono Israele. La maggior parte delle vittime erano palestinesi, ma c'erano anche libanesi, persone povere che abitavano lì.” Naji però ci tiene a specificare che la situazione tra i libanesi del sud è diversa. “Ti faccio un esempio: durante la guerra – io sono musulmano – nel mio villaggio durante la guerra i musulmani hanno protetto i cristiani, perché la guerra gira, è come una ruota, quando hanno avuto il potere loro hanno fatto la stessa cosa con noi”. In tutto il sud non è mai stata una guerra tra musulmani e cristiani, tra partiti musulmani e cristiani, a Beirut si. Beirut è una grande città, tante persone che vivono li ma arrivano da tutte le parti del Libano e anche da fuori, c'è tutta la politica mediorientale concentrata in una città. La maggior parte della guerre che sono state combattute qui non è stato per colpa dei libanesi, qui combattono iraniani, siriani, palestinesi, israeliani. Loro litigano ma combattono nel nostro paese”.
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