Le vite sprecate di Kinshasa

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Kinshasa Foto: Unsplash.com

di Sara Cecchetti da Kinshasa

“Quante vite sprecate in questi tre decenni!”: diretto e tragicamente incisivo è G. A., imprenditore congolese che accetta di lasciarsi intervistare. Ci dà appuntamento a Place Royal; siamo al centro di Kinshasa, nella parte più benestante dove la città mostra tutte le sue contraddizioni. Mentre attendiamo di fare l’intervista lo sguardo cade su un gruppo di bambini di strada. Portano su di sé i segni della violenza. Uno di loro ci mostra la cicatrice di un’ustione lunga tutto il braccio; avrà circa dieci anni e la ferita fa intuire che quella violenza risalga a molto tempo prima. Col sennò di poi “vite sprecate” sono anche un po’ le loro, entusiasti per 500 franchi congolesi. Non sono neanche un dollaro, quello equivale a 1600 franchi. G. A., però, si riferiva ad un contesto diverso: l’Est della Repubblica Democratica del Congo, dilaniato da più di trent’anni di tensioni.

Con lui cerchiamo di fare un bilancio di colpe e responsabilità: “Il nostro governo ha fatto degli errori, ma io sono un patriota e non posso che stare da questa parte”. A differenza di altri più che la paura in lui alberga il risentimento, con la convinzione che le azioni ruandesi non rimarranno impunite: “Nemmeno in Ruanda ci sarà pace. Finché non ci sarà pace nell’Est faremo in modo che non ci sia più pace neanche tra i nostri nemici”. Ma Kinshasa può realmente minare la stabilità del Paese confinante? Probabilmente no. Sul campo lo squilibrio è evidente: l’esercito congolese ha armi meno sofisticate e moderne, di fronte alla forza economica e militare del Ruanda- sostenuto dai Paesi dell’Unione Europea- il governo Tshisekedi ha poche possibilità. Non è un caso che dalla comunità internazionale si pretenda un intervento deciso: non solo l’impegno per arrestare il conflitto in corso, ma anche per smantellare quel circuito illegale in cui il Ruanda- una volta aver derubato il Congo delle sue ricchezze minerarie- le rivende ai partner europei, colpevoli di continuare ad interfacciarsi con un Paese che commercia risorse che non gli appartengono...

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