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Le parole importanti
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Foto: Unsplash.com
Merdizzazione. Si potrebbe tradurre più o meno così quella che, secondo il Macquarie Dictionary (il dizionario nazionale australiano) è “la parola dell’anno” (appena chiusosi). “Viviamo tutti in questo Merdacene, una grande merdizzazione in cui i servizi che per noi sono importanti e su cui contiamo stanno tutti trasformandosi in giganti montagne di merda.” Queste parole, evidentemente non mandate a dire, le ha pronunciate nel 2024 l’autore Cory Doctorow in occasione di un intervento al Transmediale Festival di Berlino, appuntamento annuale dedicato a una riflessione critica sulla trasformazione culturale, da una prospettiva post-digitale. Ma “enshittification” Doctorow l’ha coniata nel 2022 e il dizionario australiano di cui sopra la definisce come segue: “Il graduale deterioramento di un servizio o di un prodotto provocato da una riduzione della qualità, specialmente per quanto riguarda le piattaforme online, come conseguenza della ricerca del profitto”.
Chi utilizza i social media, anche se non conosce l’inglese, avrà visceralmente colto il concetto, che corrisponde al modo in cui troll, estremisti e calunniatori hanno invaso e conquistato le varie piattaforme. Basti pensare a Twitter, un tempo sito utile e spesso divertente di microblogging, trasformato da un appassionato di tecnologia in X, acquitrino post-Trump. O a Facebook, dov’è più facile trovare in bacheca assurdi perizomi all’uncinetto di Shein piuttosto che l’umile spacconata di un amico in carne e ossa. O Instagram, dove una volta regnavano dolci sguardi di cuccioli e panorami di bei viaggi, ora sostituiti da reel di vacui influencer e occhi sì ancora dolci, ma finti come un’emoticon.
Il comitato del dizionario che ha scelto enshittification come “parola dell’anno” l’ha descritta come “un termine anglosassone molto basilare, ma avvolto in affissi che lo rendono un lemma quasi formale e quasi rispettabile”. Insomma, si rende l’idea: aggiungere aggiungere aggiungere fino a che la merda, come il guano su una roccia, eclissa la forma originale. Nell’ultima decade, ha scritto Doctorow al proposito, le piattaforme “hanno affrontato un processo a tre fasi: nella prima, erano utili ai propri utilizzatori; nella seconda ne hanno abusato per favorire i propri clienti commerciali; nella terza, stanno approfittano dei clienti commerciali per rivendicare tutto il guadagno”.
Un’analisi lucida, frustrante, per non dire terrificante. Questa parola, merdizzazione, cattura tutti i sentimenti che molti di noi provano quando pensano a quello che sta succedendo al mondo e a così tanti aspetti delle nostre vite in questo momento. Eppure, la speranza della de-merdizzazione (dis-enshittification) apre un barlume su questo scenario tramite alcuni suggerimenti concreti (sempre se realizzabili…): azioni per prevenire la dominanza del mercato, regolamenti più severi sulla privacy digitale, più potere agli utilizzatori per decidere come utilizzare le proprie informazioni sulle piattaforme e una strenua lotta contro lo sfruttamento dei lavoratori… potrebbero invertire questo processo.
Insomma, le parole, ancora una volta lo ripetiamo, sono importanti per creare paesaggi non solo linguistici, ma anche culturali e di diritto, di empatia. E se questo curioso traguardo tagliato da una parola (scontato affermarlo) non certo imbevuta di ottimismo ci demoralizza, contemporaneamente una ricerca dello University College di Londra prova a risollevarci per lo meno un po’ il morale. Se restiamo umani in un senso autentico e profondo probabilmente possiamo stare un po’ meglio, anche in un mondo per nulla promettente. La ricerca lo suggerisce dimostrando la connessione tra madri che utilizzano regolarmente parole appropriate per descrivere emozioni e pensieri del proprio bambino e, da un lato, la riduzione delle depressioni post partum mentre, dall’altro, l’aumento rilevato nei livelli di ossitocina. Ancora lui, sì, l’ormone noto come “della felicità”, ma in realtà coinvolto in parecchi processi legati alle relazioni sociali, allo sviluppo di legami d’affetto e alla formazione di fiducia, comprensione sociale ed empatia che perdurano nell’arco di tutta la vita. Insomma, le interazioni primarie tra madri e figli, ma in generale le relazioni all’insegna del non giudizio e della verbalizzazione rispettosa di sentimenti ed emozioni, sembrano essere una delle strade possibili – e volendo non così difficile da mettere in pratica – verso un orizzonte in cui tutta quella merda con cui siamo giornalmente, a livello privato e collettivo, bombardati possa essere almeno in parte arginata.
E allora buon anno nuovo a voi care lettrici e cari lettori, che sia accompagnato da parole consapevoli e gentili, regalate e ricevute.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.