Lavoro povero: in Italia colpisce (almeno) 12 lavoratori su 100

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Foto: Unsplash

Crisi finanziaria e recessione, crisi energetica, pandemia, guerra, inflazione. Dal 2008 al 2020 l’Italia è stata colpita da una crisi dietro l’altra e l’impatto è stato pesantissimo sulle famiglie e sui lavoratori che ne hanno risentito in termini di impoverimento, di perdita del potere d’acquisto e della sicurezza sociale.

E le reti di protezione sociale, storicamente sbilanciate a favore dei lavoratori anziani stabili a tempo indeterminato, si sono rivelate insufficienti per fronteggiare i bisogni di giovani, donne e stranieri, i più numerosi tra i working poor, i lavoratori poveri.

L’analisi è della Campagna Abiti Puliti (la sezione italiana della Clean Clothes Campaign, rete internazionale che riunisce organizzazioni a difesa di diritti umani, lavoratori e sindacati nel settore dell’abbigliamento), che in una tavola rotonda sulla povertà lavorativa ha diffuso un aggiornamento del suo rapporto “Il salario dignitoso è un diritto universale. Una proposta per l’Italia, a partire dal settore moda“, pubblicato nel 2022.

Due anni fa, infatti, l’organizzazione aveva presentato il tema del salario minimo come questione urgente su cui intervenire per affrontare la povertà lavorativa e la disuguaglianza in Italia a partire dalla filiera della moda. E oggi chiama a raccolta cittadini, organizzazioni, sindacati, imprese, ricercatori e studenti per capire quali sono i dati reali sui lavoratori poveri e quali sono le possibili soluzioni.

Povertà assoluta: i dati Istat

I dati dell’Istat relativi al 2022 parlano di oltre 5,6 milioni di persone (2,18 milioni di famiglie) in povertà assoluta. Un dato in crescita rispetto al 2021 anche a causa dell’inflazione, che ha ridotto il potere di acquisto dei salari. L’Italia è l’unico Paesedell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) in cui i salari medi sono diminuiti.

La questione non è nuova, come scrive la Campagna Abiti Puliti:

«Un problema strutturale di lunga data, generato dal cambiamento del mercato del lavoro sempre più flessibile e precario, come emerge plasticamente dalla stessa indagine Istat, la quale mostra come l’incidenza della povertà assoluta riguardi anche chi lavora, con il 14,7% di famiglie operaie e l’8,5% di famiglie con un lavoratore autonomo sotto la soglia di povertà. Avere un lavoro non mette più al riparo dalla povertà, visto che il 50% delle famiglie in povertà relativa include un lavoratore con un reddito insufficiente a soddisfare i bisogni del nucleo familiare».

Questa situazione, come è facile immaginare, non riguarda i manager: nel 1980 quelli più pagati guadagnavano 45 volte lo stipendio di un loro operaio, nel 2008 416 volte e nel 2020 649 volte...

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