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La sinistra, oltre l’individualismo e le elite
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Perché la sinistra in (quasi) tutto il mondo è in crisi? 20 anni fa governavano Blair, Prodi, Jospin, Clinton… Qualcuno favoleggiava su un possibile “Ulivo mondiale”. Un modo per dire che una nuova sinistra, pronta a veleggiare grazie ai venti propizi della globalizzazione, aveva davanti a sé un nuovo “sole dell’avvenire”. In Europa i Paesi dell’Est, una volta ritrovata la libertà, guardavano con fiducia all’incontro con i Paesi occidentali, sognando l’ingresso nell’Unione europea. C’erano buone speranze per una evoluzione democratica della Russia. Dieci anni dopo lo scenario è già cambiato, e la crisi economica si innesta in un terreno già impoverito. Guerre a ripetizione giustificate da presupposti falsi, atti terroristici, fenomeni epocali trattati come invasioni dei nemici (vedi migrazioni) hanno determinato una progressiva sfiducia nelle istituzioni democratiche e un imbarbarimento generale del linguaggio politico. E gli otto anni di Obama, alla cui elezione furono associate tante fatue speranze, rischiano di essere soltanto ricordati come una parentesi che ha soltanto rallentato il degrado odierno.
Oggi la destra – perché una destra esiste – cavalca i suoi tradizionali cavalli di battaglia: nazionalismo (più gentilmente chiamato ora “sovranismo”), identità chiusa e univoca (il volk di hitleriana memoria, il razzismo bianco e “cristiano” di certi trumpisti), autarchia (ieri battaglia contro le “plutocrazie massonico-giudaiche”, ora contro il libero scambio e la moneta unica europea, voluta dai banchieri), politica di potenza per cui le relazioni internazionali sono guidate dalle portaerei (la diplomazia delle cannoniere di ottocentesca memoria). La giungla globale. Fatta di muri, fili spinati, missili balistici: piante no, quelle vengono tagliate.
In questo quadro molta parte dell’elettorato di sinistra, specie quello più povero e meno istruito, ha traslocato a destra, un luogo dove si sentiva più protetto, ma pure più incentivato a scagliare contro qualcuno la propria rabbia e impotenza. Cercava – e cerca – protezione. Ovviamente i politici di destra lucrano sulla paura. Secondo la regola più classica del mercato per cui, per vendere un prodotto, occorre creare prima il desiderio di possederlo. Si investe sulla paura per scatenare il desiderio di sicurezza. Si costruiscono i mostri per poi presentarsi come gli unici salvatori della patria.
Forse però questi cittadini hanno trovato per davvero un nuovo senso di appartenenza. L’estremismo genera comunità. La destra sembra essere riuscita a venire incontro al bisogno di indicare una via d’uscita rispetto all’individualismo radicale su cui invece aveva puntato la sinistra. Oppure una certa sinistra, che avrebbe dovuto trionfare quasi naturalmente nell’epoca della globalizzazione. Quella più legata ai vecchi schemi dell’impostazione marxiana si è invece arroccata in conventicole ermetiche e ininfluenti culturalmente prima che a livello elettorale.
I continui appelli delle varie formazioni di destra a concetti come popolo, casa, terra, Dio addirittura razza, sembrano aver fatto presa. “Vieni con noi e sarai protagonista”. Per questo Trump è più vicino a Putin che a Reagan e alla tradizionale posizione liberista del partito repubblicano, anch’essa incentrata sull’individualismo. Non è un caso che in molti Paesi europei i partiti di sinistra socialista e i conservatori liberali formano insieme coalizioni di governo che tagliano le ali di destra e di sinistra.
Anche Obama, che sembrava avere dietro di sé un popolo, vinceva nelle grandi città, tra i colletti bianchi, riuscendo a mobilitare alla grande solo le minoranze. Clinton, che non aveva il suo stesso carisma, è stata così sconfitta. Sanders invece era giudicato dalla nomenclatura come inadatto in partenza. La sinistra nei Paesi occidentali è in crisi profondissima. Si rivolge alle elite, non è capace di creare comunità. Si sgretola al proprio interno. Litiga come nel peggiore condominio. Ciò che rimane è un individualismo esasperato e nichilista.
Scrive lo storico Tony Judt: “L’individualismo, l’affermazione del diritto di ogni persona alla massima libertà privata e alla libertà assoluta di esprimere desideri autonomi… divennero le parole d’ordine della sinistra”, dagli anni 80 in poi. Precedentemente gli obiettivi condivisi erano la giustizia, l’uguaglianza di opportunità, la sicurezza economica. E c’era la consapevolezza che questi traguardi si potessero raggiungere soltanto attraverso un’azione collettiva. Ora non più. La sinistra è riuscita ad imporre l’agenda sui diritti civili – individualisti fino al parossismo – ma non sulla costruzione di un’alternativa di società. Puntare solo sui diritti civili (e in particolari ambiti come la libertà di scelta in campo bioetico) non è sufficiente per capire il mondo e per farsi capire. Per questo oggi la sinistra muore. Incredula.
Forse sarà necessario guardare fuori dai confini del vecchio mondo. Stranamente ma non tanto è un Papa argentino a dire le parole più chiare. Forse in altri continenti ci sono possibili nuovi modelli. Trovare un equilibrio tra individualismo e comunità: solo questa sarà la sinistra del futuro.
Articolo pubblicato sul “Trentino”
Piergiorgio Cattani

Nato a Trento il 24 maggio 1976. Laureato in Lettere Moderne (1999) e poi in Filosofia e linguaggi della modernità (2005) presso l’Università degli studi di Trento, lavora come giornalista e libero professionista. Scrive su quotidiani e riviste locali e nazionali. Ha iniziato a collaborare con Fondazione Fontana Onlus nel 2010. Dal 2013 al 2020 è stato il direttore del portale Unimondo, un progetto editoriale di Fondazione Fontana. Attivo nel mondo del volontariato, della politica e della cultura è stato presidente di "Futura" e dell’ “Associazione Oscar Romero”. Ha scritto numerosi saggi su tematiche filosofiche, religiose, etiche e politiche ed è autore di libri inerenti ai suoi molti campi di interesse. Ci ha lasciati l'8 novembre 2020.