Il trionfo del "Sovranismo"

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«Il nazionalismo è un fiotto in cui ogni altro pensiero affoga», scriveva Karl Kraus alla vigilia della prima guerra mondiale. Temo che un secolo dopo stiamo di nuovo affogando.

Quando il presidente della più grande potenza mondiale esordisce promettendo ai suoi elettori che il muro al confine col Messico verrà costruito, e il pagamento sarà a carico dei vicini. Quando i top manager dell’industria automobilistica statunitense baciano la pantofola di Trump garantendogli investimenti domestici, anche se meno convenienti rispetto a quelli esteri… Cos’altro dovremmo aspettarci, se non un pericoloso rigurgito di guerre commerciali, che speriamo non degenerino in guerre militari?

Leggo di consiglieri (molto ignoranti di storia) che consigliano alla cancelliera Angela Merkel la riesumazione del marco tedesco nell’interesse di una grande Germania. Mentre il governo conservatore del Regno Unito pensa di consolidarsi accelerando la Brexit. Non c’è capo di stato o di governo che oggi non tragga giovamento dalla contestazione pubblica degli organismi sovranazionali del più vario tipo (dall’Unione europea alla Nato, dalle agenzie del commercio mondiale agli accordi sulle emissioni di co2). Sembra non potersi dare un’azione di contrasto della povertà e delle disuguaglianze che prescinda dal restringere il perimetro territoriale dei suoi beneficiari.

Lo chiamano “sovranismo”, così come un secolo fa venne chiamato qui e là nazional socialismo, socialismo in un paese solo, difesa della nazione proletaria. Sembrerebbe che solo i top manager delle multinazionali e gli speculatori dell’alta finanza possano consentirsi di vivere in una dimensione cosmopolita. Loro sono apolidi per natura, interpreti privilegiati della globalizzazione. Ma al piano di sotto? L’unico modo di tutelare redditi, prestazioni sociali e diritti delle classi subalterne sarebbe quello di brandire il passaporto al grido di “prima i nostri”?

Il nazionalismo che angosciava Kraus, quando nessuno ancora prevedeva durata e dimensioni delle due guerre ravvicinate che stavano per abbattersi con epicentro nel cuore d’Europa, si ripresenta subdolamente come scelta obbligata. Che dovrebbe essere assunta come tale da chi ha a cuore la rappresentanza e la tutela del “suo” popolo.

A chi vuole rinfrescarsi la memoria, consiglio la lettura della vasta, avvincente ricerca di Ian Kershaw, di cui Laterza ha appena tradotto il primo volume: All’inferno e ritorno. Europa 1914-1949. Vedrete com’è facile ritrovarsi in trincea gli uni contro gli altri, ispirandosi alla retorica dell’amor di patria. Protezionismo; dazi doganali; muri; autarchia; meglio trattare con i singoli Stati che con l’Ue; se gli altri hanno un califfo, uno zar o un sultano noi ci difenderemo con un Trump...

Si comincia così, e ogni altro pensiero affoga. 

Gad Lerner da Nigrizia.it

Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.

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