“La questione morale del nostro tempo”

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Come ormai sappiamo l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità. Sottoscritta il 25 settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite, e approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU, l’Agenda è costituita da 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile. Tra questi l'Obiettivo 16 cerca di “Promuovere società pacifiche e più inclusive; offrire l’accesso alla giustizia per tutti e creare organismi efficienti, responsabili e inclusivi a tutti i livelli”, un target ambizioso e complesso che Pace per Gerusalemme. Il Trentino per la Palestina dal 2001 ha preso molto sul serio impegnandosi per affermare le ragioni della pace, del dialogo e della convivenza in quel luogo reale e simbolico che è la terra di Palestina-Israele. Ne abbiamo parlato con Pier Francesco Pandolfi presidente di questa realtà nonviolenta trentina!

Grazie mille del vostro tempo e della vostra disponibilità. Ci raccontato quando, come e perché nasce Pace per Gerusalemme?

Pace per Gerusalemme si è costituita nel 2001, in piena seconda Intifada, su impulso di un gruppo molto variegato e composito che comprendeva singole attiviste ed attivisti, sindacati, amministrazioni comunali. In quel momento emergeva già chiaramente che gli accordi di Oslo del 1993 erano stati una trappola per il popolo palestinese: la campagna di pulizia etnica in Cisgiordania procedeva a passo spedito, Arafat era sotto sequestro -e lo sarebbe stato fino alla morte nel 2004- in una Ramallah occupata militarmente da Israele, di lì a poco sarebbe iniziata la costruzione del muro dell’apartheid. La reazione popolare palestinese, sia nonviolenta che armata, fu una scossa e una chiamata all’azione per le coscienze solidali in tutto il mondo, Trentino compreso.

Sul vostro sito si legge che “Quello che accade in Palestina è, come ebbe a dire Nelson Mandela, - la questione morale del nostro tempo –”. Quali sono le aree geografiche dove operate e perché la storia e l’attualità di questa terra è importante anche per noi trentini?

La nostra associazione ha come focus principale la Palestina storica, ma allarga il suo sguardo a tutto il Vicino Oriente e al Mediterraneo. Crediamo che l’origine del sionismo, l’instabilità della regione, il fenomeno migratorio attuale siano tutte e questioni postcocoloniali interconnesse tra loro, e per questo ci riguardino fortemente come europei e come nazione che si affaccia sul Mediterraneo. Il Trentino ha una storia di solidarietà nei confronti dei popoli martoriati da conflitti, forse grazie alle memorie di guerra e di emigrazione che segnano la storia della provincia, ma anche per via di una felice politica di cooperazione decentrata che è stata, fino a qualche anno fa, un orgoglio trentino.

Teatro, film, arte e cultura, ma anche salute mentale, educazione… Sono questi solo alcuni degli ambiti che caratterizzano i vostri interventi. Ci raccontate di cosa vi occupate, quali sono i vostri interlocutori locali e quel è l’approccio e il filo conduttore dei vostri interventi?

Gli eventi culturali e di sensibilizzazione, sia nelle scuole che rivolte ad un pubblico più ampio, sono state in effetti le nostre attività principali negli ultimi anni. Crediamo che sia importante, in un’era di flussi di informazione distorti e parziali, poter riflettere su questioni morali, politiche e sociali attraverso i linguaggi artistici, che ci permettono di entrare in empatia con l’altro in modo più profondo e consapevole. Conoscere la cultura e la storia del popolo palestinese ci permette di meglio comprendere le sue attuali sofferenze. Cionondimeno, nonostante il già citato taglio ai fondi per la cooperazione, Pace per Gerusalemme ha continuato a curare rapporti diretti con la comunità palestinese e con i dissidenti israeliani, organizzando raccolte fondi e sostenendo direttamente progetti sul campo.

Conoscere l’altro, la sua memoria e la sua storia, il riconoscimento della Shoah al pari della Nakba sono tutte esperienze di riconciliazione e fraternità che anche grazie al vostro lavoro palestinesi e israeliani mettono in atto ogni giorno, spesso pagandone il prezzo di persona. Quanto è importante valorizzare tali esperienze, che sono perlopiù sconosciute, quando non apertamente contrastate?

La memoria e il mutuo riconoscimento sono passaggi fondamentali per una visione di lungo periodo per la giustizia riparativa e la pace. Le esperienze di attivismo per i diritti umani e le voci che si levano dalla società israeliana contro i massacri e le politiche di apartheid sono fondamentali e vanno amplificate, così come le storie di resistenza quotidiana che tutti i palestinesi, dal primo all’ultimo, possono raccontare riguardo alla ricerca dell’autodeterminazione.

La neo-storiografia israeliana al pari di quella palestinese contemplano questo tipo di approccio?

Va detto che la neostoriografia israeliana è una corrente culturale assolutamente minoritaria, che gode del riconoscimento di una frazione infinitesimale della società israeliana ed è osteggiata e criminalizzata dalla restante. Fortunatamente ci sono delle riflessioni, proposte e conclusioni comuni, come l’ipotesi dello stato  unico binazionale, tra alcuni ricercatori dissidenti israeliani e alcuni brillanti intellettuali e attivisti palestinesi. Va inoltre riconosciuto che, stante il plateale fallimento della soluzione a due stati e degli accordi di Oslo, si registra in Europa e in Italia un crescente interesse per queste proposte, con la pubblicazione di saggi, interviste, eccetera.

L’attualità dei dibattiti politici, pubblici e dei media italiani ci mostra che purtroppo si deve fare ancora molta strada per modificare l’atteggiamento mentale con cui noi italiani guardiamo a quella terra contesa. Sarà mai possibile superare un approccio alla questione israelo-palestinese fatto da opposte tifoserie?

Attualmente ci troviamo nel mezzo di una escalation senza precedenti delle politiche espansioniste e di pulizia etnica israeliane, che hanno portato organizzazioni internazionali come Amnesty International, Human Rights Watch e alcuni organismi ONU a formulare accuse di genocidio, che sono al vaglio della Corte Penale Internazionale. Qualsiasi posizione che non parta dalla richiesta di ristabilire il diritto internazionale, di porre fine all’assedio di Gaza, che non riconosca la negazione di cibo, acqua, medicinali e aiuti umanitari come crimini di guerra e contro l’umanità non è semplicemente una tifoseria: è passibile di complicità con un genocidio.

Vi siete occupati e vi occupate con particolare attenzione delle nuove generazioni. Che sensibilità esiste oggi nei giovani palestinesi e israeliani rispetto a questa volontà di conoscere l’altro, e secondo voi è ancora possibile “educare alla pace” dopo il 7 ottobre 2023?

Come detto poc’anzi, le priorità assolute in questo momento non possono che essere un cessate il fuoco permanente realmente rispettato da Israele, la cessazione dell’assedio, dell’uso della fame come arma e di tutte le punizioni collettive, la fine dell’invasione della Cisgiordania e delle politiche di apartheid. In breve, il ripristino del diritto internazionale. Solo da lì si potrà ricominciare a pensare al futuro e non solo alla sopravvivenza dei palestinesi. Speriamo di poter riuscire a vedere e a supportare questa nuova fase, dove il diritto ad una pace giusta e all’autodeterminazione possano finalmente esplicarsi. Certamente l’educazione alla pace e gli strumenti di giustizia riparativa saranno fondamentali per le future generazioni di palestinesi e israeliani.

Parlando di giovani, non solo di palestinesi e israeliani vi siete occupati. Numerosi incontri scolastici vi vedono occupati sul territorio ogni anno…

Assolutamente. Anche grazie al tramite del Forum trentino per la pace e i diritti umani, del quale facciamo parte da sempre, riceviamo costantemente inviti di studenti e professori delle scuole superiori, che ci richiedono approfondimenti e laboratori. Fortunatamente c’è un grande interesse e volontà di approfondimento sul tema Israele-Palestina, che però è anche lo specchio di una scarsissima presenza nei programmi scolastici della storia contemporanea. Ai ragazzi mancano gli strumenti per leggere i temi di attualità, connessi con gli equilibri e gli scenari politici del dopoguerra. Cerchiamo di colmare queste lacune sia con la didattica frontale sia attraverso l’utilizzo di mezzi audiovisivi, cortometraggi, docufilm, attività laboratoriali.

Tra le iniziative di sostegno diretto a progetti in Palestina, nel 2022 avete promosso una raccolta fondi per l’inaugurazione di un centro civico giovanile a Beit Ummar, nella Cisgiordania occupata, tra Betlemme e Hebron. Avete ricevuto fondi pubblici? Che prospettive vedete per questo tipo di progetti?

Da ormai una decina di anni le attività di Pace per Gerusalemme sono autofinanziate o attingono a piccoli bandi locali, che finanziano perlopiù attività svolte sul territorio trentino e con ricadute solo locali. Nel caso del centro culturale giovanile gestito dal Center for Freedom and Justice di Beit Ummar abbiamo optato per una campagna di crowdfunding. Questo tipo di microiniziative non ha un impatto paragonabile a quelli dei più strutturati progetti di cooperazione decentrata promossi dalla PAT. Promuovono oltretutto una intollerabile competizione tra piccole associazioni, sempre più escluse da finanziamenti pubblici e quindi costrette a rivolgersi in massa ad altri canali, come le fondazioni o i portali di crowdfunding, con risultati non sempre totalmente soddisfacenti. Sarebbe auspicabile che la PAT tornasse ad impegnarsi sul tema della cooperazione facendo proprio l’obiettivo dello 0,70% del reddito interno lordo per la solidarietà internazionale, quota in linea con gli obiettivi internazionalmente concordati dall’Italia

Articolo uscito anche su Abitarelaterra.org

Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.

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