La guerra "green" dei generali Nato

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I generali Nato preparano la guerra verde, fatta di avanzatissimi pannelli fotovoltaici avvolgibili, reti intelligenti e tende isolate al carburo di alluminio, solo per fare qualche esempio. Tecnologie militari sempre più raffinate e sempre meno legate ai combustibili fossili. “Per dare un’impronta più ecologica alle attività militari”, recita il refrein ufficiale affidato al report annuale 2015. Cambia la tecnologia ma la ferocia della distruzione è quella di sempre.

E dietro alle crude e spicciole formule di marketing si nasconde altro. Primo fra tutti gli obiettivi dichiarati c’è quello di ridurre le spese militari dei governi. La spesa pubblica in armamenti è sempre più nel mirino delle opinioni pubbliche globali. Sottrarre soldi alle politiche sociali degli Stati per affidarli nelle mani dei generali provoca mal di pancia.

Secondo un rapporto dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) la spesa militare mondiale nel 2014 ha superato i 1.767 miliardi di dollari. Numeri da capogiro se immaginati nei portafogli di lobby potentissime.

Le alte sfere Nato sanno di dover far i conti anche con le tensioni interne. Morti e feriti tra i soldati coinvolti in operazioni belliche provocano altrettanti  costi e mal contento. I militari e le loro famiglie chiedono maggiori garanzie anche sul campo di battaglia. Ed ecco che gli investimenti in tecnologia verde diventano strategici per le nuove avventure di guerra. 

Tra il 2003 e il 2007 stati uccisi o rimasti feriti oltre 3000 soldati impegnati nel trasporto di carburante e acqua in Iraq e Afghanistan. “Se attacchi un camion di carburante, esplode e brucia tutto il combustibile. Non c’è nessun modo per fermarlo. Se si spara a delle celle solari, le puoi rompere – spiega Susanne Michaels, una delle responsabili del primo campo Nato Smart Energy in Ungheria – ma non esplodono e tutte le altre cellule sono ancora in grado di funzionare”.

I generali sanno fare bene i conti. E hanno capito che con le fonti rinnovabili possono alimentare i campi militari con meno carburante che è costoso e pericoloso da trasportare e più lento nella fase di approvvigionamento. Il sole e il vento assicurano invece meno spese, più efficienza, maggiore resistenza nei conflitti e naturalmente aumento della capacità di uccidere.

Svincolarsi dall’uso delle fonti fossili diventa perciò un obbiettivo strategico primario. Si può ancora parlare di scopi umanitari e lotta ai cambiamenti climatici?

Massimo Lauria da Remocontro.it

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