La finanza è affar nostro!

Stampa

In foto: Simone Siliani

Per molte associazioni del variegato panorama dell’associazionismo italiano la finanza entra nelle proprie attività solo per quanto concerne l’apertura di un conto corrente. Eppure terzo settore e finanza possono (anzi debbono) lavorare insieme, specialmente se le finalità etiche di entrambe le parti combaciano. Unimondo ha parlato di questo legame con Simone Siliani, direttore di Fondazione Finanza Etica.

Una premessa è d’obbligo: cosa si intende per finanza etica, due termini che alle orecchie di molti appaiono stonare l’uno accanto all’altro? 

La finanza etica trova le sue origini in una lunga tradizione di attenzione alle implicazioni sociali ed etiche e non solo finanziarie dell'uso del denaro, che va dai Monti di Pietà nel Rinascimento italiano alle Casse di Risparmio del '700, dalle Banche Popolari Cooperative alle Casse Rurali e alle Banche di credito cooperativo dell'800, fino alle Banche società per azioni ma con intenti etici del '900. Dunque, per quanto il termine "finanza etica" sia abbastanza recente, esso affonda le sue radici nella storia della moneta e dell'economia moderna europea. La cultura di una economia equa e sostenibile, cioè una economia che ha come obiettivo non solo la crescita degli asset bensì gli impatti sociali e ambientali in termini di tutela e promozione dei diritti delle persone, dei lavoratori e dell'ambiente, giunge oggi a una compiuta elaborazione seguendo questo lungo cammino.

Giustizia, responsabilità, democrazia economica, efficacia ed efficienza, coerenza sono tutti principi inseriti nello Statuto della Fondazione Finanza Etica: esiste una principio-cardine fra di essi? 

Non saprei dare una gerarchia di priorità a questi principi: essi si combinano e si alimentano vicendevolmente. Come può essere giusta una finanza se non assume la responsabilità d'impresa a fondamento della propria azione? La coerenza richiede tuttavia un equilibrio con i principi di efficienza e anche di efficacia. Questo è l'elemento di maggiore difficoltà: costruire una ponderazione e una convivenza di principi che talvolta possono anche confliggere fra loro. Ma questo è proprio il contenuto dell'etica, secondo quello che scrive Edgar Morin nel suo volume "Etica": se è vero che l'etica si manifesta in noi come una esigenza morale imperativa, è altrettanto vero che l'etica deve sempre affrontare l'incertezza, giacché vi è sempre uno iato fra intenzione morale e azione ed è proprio nell'azione che l'intenzione rischia l'insuccesso. Quindi anche una intenzione morale molto solida e imperativa non può ignorare gli effetti e le conseguenze delle sue azioni. Questo è il campo precipuo dell'etica.

Nel 1998 è stato elaborato e adottato il cosiddetto Manifesto della Finanza Etica, sottoscritto dai 48.000 soci di Banca Etica, che “ritiene che il credito, in tutte le sue forme, sia un diritto umano”. Un concetto forte, non crede?

In effetti, è un concetto che a prima vista può suscitare smarrimento, soprattutto in un tempo in cui i diritti umani restano per lo più scritti sulla carta ma ben poco praticati. Eppure ha un suo fondamento giuridico importante, per esempio per quanto riguarda i diritti economici nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 e ancor più nella nostra Costituzione che nell'art. 47 affida alla Repubblica la tutela del risparmio in tutte le sue forme e il coordinamento e controllo dell'esercizio del credito. Se leggiamo queste disposizioni in combinato con quanto disposto dall’art. 3 per il quale “la Repubblica deve rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, si può ben capire che la possibilità di accedere al credito per realizzare le condizioni di eguaglianza fra i cittadini previste dalla Costituzione può essere concepita come un diritto per ogni singola persona, non subordinato - entro certi limiti - alle condizioni economiche degli stessi. Infatti la finanza etica concepisce il credito come una condizione per realizzare progetti di sviluppo e di vita dignitosa per le persone e per questo presta attenzione alla valenza sociale ed ambientale dei progetti per cui viene chiesto un credito.

Da alcuni anni a scuola è prevista in Educazione Civica anche la possibilità di fare Educazione finanziaria. Secondo lei quali competenze dovrebbero essere acquisite?

Ritengo che occorra parlare non di una generica educazione finanziaria, bensì di un’educazione critica alla finanza. L’obiettivo non è tanto quello di insegnare a gestire un patrimonio o a fare un investimento, bensì a riflettere sul significato dei soldi, sul funzionamento della finanza, sui significati e sulle conseguenze sociali e ambientali delle scelte finanziarie. Così comprenderemo che queste non sono mai neutre o neutrali. Resta la libertà di scegliere degli individui, ma l'importante è avere contezza di quello che c'è veramente dietro queste scelte.

Questo si fa anche con l’azionariato critico?

Sì, è uno dei nostri cavalli di battaglia. Compriamo dei piccolissimi pacchetti azionari di società quotate che il Gruppo Banca Etica non investirebbe mai: società nel settore difesa, operative nel settore delle fossili, ecc. Così assumiamo i doveri e i diritti degli azionisti e quindi di votare nelle assemblee degli azionisti, ma soprattutto di interloquire con il management delle imprese, di fare domande prima e durante l'assemblea, a cui la società ha l'obbligo di rispondere. Cerchiamo così di ingaggiare il management della società per fare cambiare politiche e indirizzi, magari anche cose circoscritte, ma concrete. Quasi sempre facciamo questa attività - che richiede preparazione e serietà - in collaborazione con diverse organizzazioni della società civile (es. Legambiente, Rete Italiana Pace e Disarmo). Otteniamo diversi risultati attraverso un dialogo paziente ma determinato. In altri casi, invece, ci scontriamo contro un muro di gomma (penso a Leonardo SpA, Rheinmetall società tedesca delle armi, ENI). E allora parliamo al pubblico, attraverso i media e i social, delle scelte che non condividiamo di queste aziende, del loro greenwashing. È un'attività interessante, impegnativa e faticosa, ma crediamo importante.

Fondazione Finanza Etica è attiva con diverse campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, come Banche armate e Abiti puliti, che hanno ingenerato voci critiche inducendo a scelte politiche più etiche. Qual è la presa di posizione della Fondazione sulle attuali iniziative giovanili per ingenerare una più decisa azione contro i cambiamenti climatici in corso?

I movimenti dei giovani stanno accendendo una nuova speranza nella possibilità di invertire la tendenza verso il consumo delle risorse vitali del pianeta. Io su questo non sono pessimista: vedo la forza e la portata del cambiamento. Quello che mi preoccupa è piuttosto la velocità (o meglio la lentezza) del cambiamento. Per questo io non considero riprovevoli o sbagliate anche le azioni dimostrative forti dei Fridays for Future e di Ultima Generazione: servono a scuotere l'apatia, la rassegnazione delle generazioni più anziane e a far percepire l'urgenza e la radicalità necessarie per affrontare questi problemi.

Un ultimo consiglio per gli enti del terzo settore?

Sarebbe importante che ciascuno si facesse delle domande, si informasse e si formasse una opinione fondata sulle piattaforme di raccolta fondi così come sui negozi dove si effettuano acquisti. Non è difficile, anche se è impegnativo. Il tema è sempre quello di fondo, originario, della finanza etica: dove vanno i miei soldi? Cosa vanno a finanziare? Questa è una domanda che, paradossalmente, nessuno si pone quando deposita i propri risparmi in una banca, mentre ad esempio ce la poniamo quando compriamo una macchina o un elettrodomestico. Perché? Perché pensiamo che i soldi siano un oggetto insondabile, incomprensibile per certi aspetti; perché riteniamo, erroneamente, che la finanza sia faccenda solo per gli esperti. Invece è una nostra responsabilità, di ciascuno di noi.

Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.

Ultime notizie

L’inizio dell’offensiva terrestre israeliana e l’esodo di massa da Gaza City

17 Settembre 2025
Israele conferma che l’offensiva ha provocato un esodo senza precedenti. (Giacomo Cioni)

Dossier/ Materie prime critiche (4)

17 Settembre 2025
Oltre a quelli ambientali, l’estrazione di minerali critici comporta una serie di impatti diretti sulla vita di diversi gruppi vulnerabili. (Rita Cantalino)

Il blocco del porto di Trieste

16 Settembre 2025
Il blocco del porto di Trieste contro le armi per Israele e per l’applicazione del Trattato di pace. La mobilitazione di USB. (Laura Tussi)

L’E-Mobility in stallo?

15 Settembre 2025
La mobilità elettrica potrebbe scaricarsi: colpa di costi, filiere e infrastrutture. (Alessandro Graziadei)

Dipendenze digitali

15 Settembre 2025
Nell’era dell’iperconnessione, le dipendenze digitali rappresentano una sfida crescente per le giovani generazioni, con effetti sempre più evidenti sul benessere psicologico, relazionale e scolasti...

Video

Serbia, arriva a Bruxelles la maratona di protesta di studenti per crollo alla stazione di Novi Sad