La felicità non è cosa per giovani

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Foto: Unsplash.com

I giovani d’oggi sono più infelici rispetto alle generazioni che li hanno preceduti e soffrono di quella che equivale a una “crisi di mezza età”. Si è espresso con queste parole il Ministro della Sanità statunitense, il medico Vivek Murthy, dichiarando che permettere a bambini e adolescenti di utilizzare i social media era come somministrare loro una medicina di cui non fosse testata la sicurezza:un’affermazione che mette inequivocabilmente in luce il fallimento dei governi nell’intento di meglio regolare l’utilizzo dei social. 

Le parole di Murthy seguono la pubblicazione di nuovi dati che rivelano come i giovani nordamericani siano molto meno felici dei loro predecessori, con lo stesso “esito storico” previsto a breve anche per l’Europa occidentale. Ma chi sono questi giovani?

Persone under-30 con un senso di benessere in deciso declino, che ha scalzato gli Stati Uniti dai primi 20 posti del World Happiness Report 2024. Dopo 12 anni in cui le persone tra i 15 e i 24 anni erano considerate come più felici delle generazioni precedenti, il trend sembra essersi invertito a partire dal 2017, un gap che anche in Europa si è accorciato, anche se in maniera meno aspra, ed è destinato a farsi sempre più sottile nei prossimi anni. Il report si concentra proprio sulla felicità in rapporto alle varie fasce d’età, suonando più di un campanello d’allarme sulle battaglie, spesso invisibili, che i giovani sono costretti a combattere, anche inconsapevolmente. Le piattaforme social sono tra i maggiori indagati, contribuendo all’isolamento sociale, all’ansia da prestazione e alla disconnessione dalla realtà della vita vissuta.

Quello della “felicità mondiale” è un barometro complesso che analizza diversi fattori che contribuiscono al benessere in 140 Paesi del mondo ed è coordinato dal Centro di Ricerca sul Benessere dell’Università di Oxford (prof. Jan-Emmanuel De Neve) in collaborazione con l’azienda di sondaggi Gallup e il Network delle Nazioni Unite per le soluzioni per lo sviluppo sostenibile (SDSN). De Neve ha auspicato, commentando il report, a un’azione politica urgente che permetta di recuperare la curva standard che nella storia dell’umanità ha garantito alle generazioni successive maggiori opportunità di felicità rispetto alle precedenti. Perché non si tratta solo di dati, ma anche di aspettative: gli under-30 inglesi, per esempio, dichiarano in gran parte di attendersi una vita peggiore rispetto ai propri nonni e genitori, per non parlare degli under-30 americani, che si situano al 62esimo posto di questa classifica (dopo Guatemala, Arabia Saudita e Bulgaria). Situazione che, se andasse a considerare solo la fascia degli over-60, riporterebbe gli States al 10 posto.

Il trend è purtroppo diffuso e accomuna gli Stati Uniti con Canada, Australia e Nuova Zelanda, dove i gruppi più giovani sono i più infelici. Pur non rivelando le cause di questi cambiamenti, il report mette in luce le crescenti preoccupazioni proprio collegate all’utilizzo dei nuovi media (si calcolano circa 5h al giorno trascorse sui social e notti infrasettimanali svegli fino a tardi a “scrollare”), ma anche a disuguaglianze, crisi abitativa e paure legate ai conflitti e al cambiamento climatico che incidono fortemente sulla serenità dei più giovani e che, per quanto riguarda la salute emotiva, sono tra gli indicatori più preziosi per una soddisfacente vita adulta.

Tra i Paesi più felici spiccano sul podio Finlandia, Danimarca e Islanda. L’ambasciatore finlandese a Londra ha dichiarato che la sua nazione è riuscita a creare “un’infrastruttura della felicità, che include un ambiente sano e sicuro, opportunità per le persone di esprimersi culturalmente ed entrate relativamente eque”, il tutto condito da “alti livelli di fiducia tra i cittadini e le proprie istituzioni”. Ancora una volta la riflessione ha molto a che fare con servizi garantiti e libertà di scoprire e definire la propria identità da tutti i punti di vista cruciali per la vita adulta, nonché di godere di un buon livello di salute mentale e di una scuola che accompagni allo sviluppo di abilità cosiddette “soft”, fondamentali per la vita sociale e di comunità.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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