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La crisi europea
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L'Europa, la costruzione sovranazionale, sembra non essere stata in grado di resistere al suo primo vero scossone economico. L'economia doveva fare l'Europa, l'economia la affonderà, potremmo affermare. Così si susseguono richieste francesi, tedesche, italiane persino, di riforma della struttura comunitaria. Riforma dei trattati, per costruire una vera unione fiscale e armonizzata dei bilanci nazionali. Un'ulteriore cessione di sovranità, ma sempre diluita nel tempo e il più possibile occultata con lunghi e "rivoluzionari" processi (ricordate la presentazione della Costituzione? O del Trattato di Lisbona?).
In realtà la crisi dell'Unione Europea viene da molto più lontano. Viene dalla creazione dell'Euro, e fin qui nulla di nuovo, ma soprattutto viene da oltre 20 anni di inerzia politica. Fanno quasi sorridere i politici europei che ora sostengono che si è perso tempo nel creare un'unione fiscale: dov'erano questi stessi politici fino ad un paio di anni fa?
Quando nel 1992-1993 col Trattato di Maastricht si decise di procedere all'unione monetaria si fece una grande scelta "strategica": fra la teoria del coronamento, per la quale l'Euro avrebbe dovuto completare un'integrazione già politica, e la teoria della locomotiva, secondo cui la moneta unica avrebbe trainato l'unione politica, si optò per quest'ultima (sostenuta in particolare dalla Francia).
Come sempre accade negli affari internazionali, i capi di governo dovettero però ottenere un compromesso, concedendo anche ai sostenitori della teoria uscita sconfitta (Germania, Paesi Bassi...) alcuni punti cruciali nella nuova architettura europea: primo fra tutti, l'indipendenza e le funzioni della BCE, la quale per placare i timori tedeschi ebbe come primo e fondamentale ruolo il controllo dell'inflazione. Controllo talmente vincolato da essere persino più stringente di quello della Bundesbank e prevedere solo come funzione residuale il supporto alle politiche economiche comunitarie (all'opposto, ad esempio della FED).
Come quasi sempre, ai proclami politici non sono seguiti i fatti: volenti o nolenti, i leaders europei avevano scelto una strada che nei decenni successivi si son ben guardati dal perseguire sino in fondo, tramite un rigido controllo di bilancio degli Stati membri ed un'unione fiscale. Ciò avrebbe palesemente significato una perdita di sovranità nazionale, alla quale nessuno dopo il dramma e il caos nell'Ex-Jugoslavia pensava seriamente di rinunciare (e, col senno di poi, neppure dopo le crisi in Kosovo, Iraq, Libano...). Ciò avrebbe significato troncare sul nascere la crescita economica della "Tigre Celtica" o della Spagna, un'eresia per un'Unione sovranazionale nata sul presupposto della crescita economica. Avrebbe significato imporre sanzioni per gli sforamenti al patto di stabilità di Francia e Germania!
Probabilmente avrebbe anche richiesto di rinunciare all'allargamento ad est... forse, un prezzo troppo grande da pagare in un momento in cui il modello europeo poteva ambire a pacificare l'intero continente. Ottenendo un risultato che neanche Carlo V o Napoleone riuscirono; superando definitivamente la frattura psicologica del Muro.
No, quella che ora investe l'Unione Europea non è una "tempesta perfetta", un evento praticamente imprevedibile che anche volendo non avremmo saputo affrontare. La crisi odierna è il frutto di anni di inattività, tentennamenti e compromessi.
Non a caso ormai molti riconoscono come il vero Stato "sotto attacco" in questi mesi sia di fatto la Germania: solo la spinta della Germania può determinare un nuovo passo verso una più compiuta Unione politica e fiscale. In questo Sarkozy ha ragione: l'Europa o progredisce o muore. In fin dei conti lo ammetteva già Jacques Delors dicendo che nel caso europeol'essenziale non è sapere dove andare, ma andarci: sebbene nessuno sappia ancora qual è il destino dell'UE, nel momento in cui questa si fermasse senza essere completa, crollerebbe.
Così, dal 1992 al 2008 si sono susseguiti Trattati su Trattati, riforme su riforme senza una chiara idea del destino comune: per quanto notevoli, la Carta di Nizza sui Diritti Fondamentali, il Trattato di Lisbona non hanno inciso nulla sul problema fondamentale -problema che gli Stati avevano deciso di porre alla base della costruzione- dell'unione fiscale. Piuttosto, si è preferito parlare di diritti, senza renderli effettivamente giurisdizionalibili, si è preferito riformare la burocrazia sovranazionale, senza darle contenuti. Si è lasciato spazio allo scetticismo ed alla noia.
Così, la crisi internazionale chiede tacitamente ora alla Germania ed a tutti gli "euroscettici" (o "euro-annoiati", per riprendere la definizione di Lucio Caracciolo) fino a che punto siano disposti a spingersi, fino a quanto credano in questa Unione, nel suo futuro non più solo "sovranazionale", ma comune. Così, la rincorsa a modificare i Trattati per iscrivervi chissà quale formula magica (come vorremmo fosse il pareggio di bilancio nelle Costituzioni nazionali), la rincorsa verso gli eurobond, i continui ritocchi al Fondo di Salvataggio, i piccoli-grandi screzi alla BCE si spiegano in una lunga prospettiva. Quella dell'inezia che costringe ora alla corsa folle.
Gli strumenti proposti, per quanto utili -anzi, necessari- per salvare l'Unione allo stato attuale, possono poco di fronte a decenni di tentennamenti e mezze verità non dette sul destino politico dell'Europa. Riforme necessarie, ma che non ci preserveranno da una nuova crisi senza un radicale ripensamento politico. L'economia ha fatto già la sua parte nella costruzione dell'UE, ora deve farla la politica, una vera politica europea, come furono quelle nazionali del 1800.
Considerazioni del genere valevano anche nel 2008 per il Trattato di Lisbona, quando Barroso affermava che non c'è un piano B, quando il futuro dell'Unione dipendeva da compromessi opt-in / opt-out, da "passerelle", da "cooperazioni rafforzate", da referendum sul filo di pochi voti (ma radicali). Cosa è cambiato da allora?
Purtroppo, sappiamo che per fare grandi scelte occorrono grandi politici: lungimiranti, coraggiosi, disposti persino a rischiare di perdere una tornata elettorale, come furono Adenauer, Schumann e De Gasperi, come nel 1992 Mitterand e Kohl. Politicicostituenti. Come, oggi lo vediamo, non è Angela Merkel: troppo spesso giustificata nei suoi tentennamenti dalle tensioni interne del governo (prima l'SPD, poi i liberali, poi i bavaresi della CSU...) e negli ultimi anni sempre salvata dall'opposizione nelle scelte chiave di politica europea.
È triste ripensare all'affermazione brechtiana beato quel popolo che non ha bisogno di eroi e domandarci quanto disperatamente all'Europa servirebbe un eroe. Un politico convintamente europeista, che traini gli Stati verso un'Unione veramente compiuta (potrebbero esserlo Monti o Draghi? Sarkozy o Hollande? Cameron o Milliband? Rajoy?).
Ma questo non può essere un prodotto dell'economia: proprio Delors, interrogato su cosa rifarebbe e cosa cambierebbe nella costruzione dell'UE rispose "comincerei dalla cultura".
Alberto dal Poz da Politicaresponsabile.it