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La cooperazione italiana? Avara
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"L'Italia fa moltissimo per la cooperazione internazionale" - dice il Ministero degli Affari Esteri. "E' il fanalino di coda in Europa per le risorse destinate alla cooperazione allo sviluppo" - risponde l'associazione delle Ong italiane. "Una nuova strategia distingue la Cooperazione italiana: multilaterale, decentrata fatta con Regioni, Comuni, Fondazioni pubbliche e private, Associazioni, Università e Centri di ricerca per muovere l'intero Sistema Italia" - esplicitano al Ministero. "La cooperazione internazionale degli ultimi anni? Breve, spettacolare, sempre più basata sulle emergenze di guerra e volta a favorire le aziende esportatrici italiane ritardando i finanziamenti alle Ong" - replicano le associazioni.
Affermazioni che riassumono il dibattito in corso in questi giorni a chiusura delle "Giornate per la Cooperazione Italiana" (4 novembre - 7 dicembre). Un fitto calendario di incontri promosso dalla Farnesina in tutta Italia che celebra la sua serata-clou il 7 dicembre con lo spettacolo dall'Auditorium "Parco della Musica" di Roma (che sarà trasmesso da RaiDue il 14 dicembre) al quale sono attesi artisti italiani ed internazionali. "Una passerella mediatica, una pura operazione di marketing utile a coprire lo stato drammatico della cooperazione italiana, la paralisi e l'inefficienza amministrativa del Ministero degli Affari Esteri e il mancato rispetto degli impegni internazionali" - replica il cartello di quasi 50 associazioni e Ong italiane che promuove in concomitanza a Roma un Forum alternativo.
Neppure sui numeri sembrano concordare. Secondo la Farnesina, nel 2003 con aiuti pari a 2393 milioni di dollari versati, l'Italia sarebbe al settimo posto tra i donatori nel mondo per la cooperazione allo sviluppo dei Paesi poveri. "Tutt'altro!" - replicano le associazioni. "Lo stanziamento per aiuti pubblici allo sviluppo (APS) effettuato dall'Italia nel 2003 rappresenta solo lo 0,17% del Pil nazionale che colloca l'Italia al penultimo posto dei Paesi OCSE, seguiti dagli Stati Uniti che vi hanno destinato lo 0,12%". Entrambi hanno ragione. Citano, infatti, i dati del Rapporto 2004 dell'OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). Solo che la Farnesina li riporta in termini quantitativi, mentre le associazioni fanno notare il basso rapporto percentuale tra aiuti e Pil. Sta di fatto che i tagli della scorsa Finanziaria hanno segnato un ulteriore decremento dei fondi allo sviluppo che nel 2004 si attesteranno intorno allo 0,11% del Pil nazionale, mentre la Finanziaria 2005 riduce ulteriormente gli aiuti allo sviluppo. Ben distanti, insomma, dagli impegni sottoscritti a Barcellona nel 2002 di portare entro il 2006 la quota di aiuti italiani allo 0,33%.
Non è questione solo di cifre. Nel rapporto 2004, l'OCSE muove diverse critiche alla gestione delle risorse destinate dal Governo italiano all'aiuto allo sviluppo. L'Organizzazione fa notare che l'Aiuto pubblico allo sviluppo (APS) italiano viene erogato in gran parte per "tecnologie e forniture provenienti da aziende italiane". Una modalità che negli ultimi anni ha assorbito il 92% degli "aiuti" che, invece, dovrebbero essere destinati a progetti e attori dei vari Paesi beneficiari. Insomma i nostri sarebbero sì "aiuti allo sviluppo", ma a quello delle aziende italiane.
E le critiche che i rapporto Ocse muove al nostro Paese non finiscono qui. Secondo l'Organizzazione, gli interventi dell'Italia sarebbero improntati a una "grave carenza di personale specializzato nel settore della cooperazione" e, soprattutto, mancherebbe un adeguato e trasparente "sistema di valutazione dell'efficacia dei progetti" e la certezza della loro concreta realizzazione, anche "in rapporto alla programmazione degli aiuti futuri". Dal Rapporto si apprende, infatti, che gli addetti del personale ministeriale italiano dedicato alla cooperazione sarebbero in tutto 60 persone, mentre secondo i parametri dell'Organizzazione dovrebbero essere almeno 120.
Ma questo non spiega i ritardi nell'approvazione di progetti delle Ong italiane che devono attendere in media fino a 3-4 anni i fondi dei progetti già approvati. Le organizzazioni non governative italiane chiedono perciò che almeno il 6% dei fondi governativi sia destinato alle loro attività. Da anni impegnate in progetti di sviluppo sostenibile con attori nel Sud del mondo e bassi costi di gestione, le Ong fanno notare che oggi meno dell'1% dei fondi governativi allo sviluppo è destinato ai loro progetti promossi Il grosso della torta è assorbito dalle aziende italiane e dai versamenti a Organismi internazionali (Fao, Unicef..) che spesso hanno costi di gestioni altissimi.
"Quello della cooperazione internazionale è un grandissimo patrimonio del nostro Paese" - affermava Giuseppe Deodato, Direttore generale per la Cooperazione sviluppo del Ministero degli Affari Esteri inaugurando il mese della Cooperazione italiana. "Questo mese serve a far sapere ai cittadini italiani cosa facciamo con i loro contributi". Un intento encomiabile. Solo una domanda, ministro: quanto è costato il tutto?
di Giorgio Beretta
LA SCHEDA
Regolata dalla legge 49 del 1987, la Cooperazione italiana allo sviluppo del Ministero degli Affari Esteri è parte integrante della politica estera e persegue gli obiettivi internazionali di sviluppo economico-sociale fissati nel quadro multilaterale (Onu, Banca Mondiale, OCSE) e dell'Unione Europea. Tra questi si distinguono gli "Obiettivi del Millennio per lo sviluppo" approvati dall'Onu nel settembre 2000, che fissano per il 2015 il termine per sradicare l'estrema povertà e la malnutrizione, assicurare l'istruzione primaria, ridurre di due terzi la mortalità infantile, ridurre di tre quarti la mortalità materna e fermare la diffusione di Hiv/Aids, malaria e tubercolosi. Per raggiungere questi obiettivi, l'Onu ha definito nello 0,7% del Pil il contributo richesto alle nazioni ricche.
In vari vertici del G8, il Governo italiano si è impegnato a portare allo 0,33% entro il 2006 la quota di Aiuto pubblico allo sviluppo (APS). Attuamente la quota italiana rappresenta solo lo 0,17 del Pil, mentre quella quella Francia è allo 0,34%; la Gran Bretagna si è data l'obiettivo dello 0,47% entro il 2007; i Paesi del Nord Europa (Olanda, Danimarca, Svezia, Lussemburgo) confermano quote superiori allo 0,7% raggiunte da diversi anni. Complessivamente, circa il 40% degli aiuti italiani viene erogato ai 49 Paesi classificati dall'Onu come "Least Developed Countries" (Paesi meno sviluppati) e sono così ripartiti geograficamente: Africa subsahariana (40%), Medio Oriente e Nordafrica (25%), Europa Balcanica (12%), America Latina (15%), Asia (8%).
I principali soggetti erogatori dell'APS italiano sono il Ministero degli Affari Esteri ed il Ministero dell'Economia e delle Finanze (circa 1/3 ciascuno). Ad essi si aggiungono, per importi minori, altri dicasteri quali Ambiente, Attività produttive, Salute, Interni nonché gli enti della cooperazione decentrata (Regioni, Province, Comuni). L'ultimo terzo dell'APS italiano è costituito dai trasferimenti all'Unione Europea. (G.B.)