L'ombra del muro sulla pace in Medio oriente

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Eccoci qui, davanti al Muro. Si è parato davanti all'improvviso sulla via che da Gerusalemme conduce a Betlemme. Otto metri di calcestruzzo prefabbricato, costruito a tempo di record: incombe sulle case, sulle strade, sulla vita dei palestinesi. Avanza imperterrito notte e giorno, incurante dell'opposizione delle popolazioni locali, delle proteste della comunità internazionale, della presa di posizione del Papa, ("La Terra Santa ha bisogno di ponti, non di muri"), della condanna della Corte di Giustizia dell'Aia, delle risoluzioni contrarie dell'Onu. Attraversa le campagne, si arrampica sulle colline, serpeggia tra le vallate, divora il terreno fertile e sequestra le sorgenti d'acqua. Taglia in due le città, isola fra di loro i villaggi. Separa i contadini dalle campagne, gli scolari dalle scuole, i malati dagli ospedali, i fedeli dai luoghi di culto, le famiglie dai parenti, con effetti devastanti sulla vita delle comunità e sul morale delle persone.

Siamo arrivati con una delegazione italiana del Nord-Est (18-25 febbraio), organizzata da Amin Nabulsi (Console Palestinese nel Triveneto) composta da rappresentanti degli imprenditori, dei sindacati, delle amministrazioni locali, di enti e associazioni della società civile. L'obiettivo è quello di conoscere la realtà palestinese del "dopo Arafat", nel momento in cui sembrano riprendere quota le speranze di dialogo fra palestinesi e israeliani.

Una "barriera di sicurezza" - dicono gli israeliani - secondo i quali avrebbe già ridotto drasticamente il rischio di infiltrazione di terroristi. E' il "muro dell'apartheid e della vergogna" - replicano i palestinesi. Comunque sia, gli effetti sono pesanti. Il Governatore e il sindaco di Betlemme non perdono tempo in lamentele. Preferiscono consegnarci un opuscolo dell'Onu che evidenzia come nella zona della Tomba di Rachele, sacra a ebrei e musulmani, dopo la costruzione del muro gli undici ristoranti abbiano tutti chiuso i battenti, così come i 21 esercizi commerciali: di 80 attività economiche ne restano aperte solo 8. Un vero e proprio collasso economico con disoccupazione alle stelle, esasperazione incontrollabile, emigrazione incessante destinata - conclude l'Onu - "a cambiare una volta per tutte il carattere multiculturale che ha contraddistinto nei secoli la città di Betlemme".

"Il motivo centrale del muro" - ci dice Mustafa Almalki, l'anziano Governatore della Regione di Qalqilia - "non è la sicurezza ma la terra. Se fosse la sicurezza, il muro seguirebbe il tracciato lineare dei confini stabiliti dalle convenzioni internazionali e riconosciuti dall'Onu. Ma il muro è costruito mediamente diciassette chilometri all'interno del territorio palestinese. Ha un andamento contorto che ne rivela i veri obiettivi". Non è facile dargli torto: il muro avvolge la città palestinesi come un cappio al collo, le terre restano fuori. Il Presidente dell'Unione Contadini aggiunge: "Il muro impedisce ai contadini di lavorare i campi e raccoglierne i frutti. Crea risentimento e ulteriori motivi di conflitto e divisione". "Non chiediamo aiuti. Chiediamo solo che la Comunità Internazionale faccia pressioni su Israele perché cessi la costruzione del muro all'interno dei territori palestinesi" - conclude il vicesindaco della città.

Ma Israele non sembra cedere su questo. Al check-point per Nablus non ci lasciano passare. "Tutto questo è illegale" - sbottano due ragazze israeliane con il distintivo "Women for Human Rights". "Per avere una vera sicurezza dobbiamo riconoscere i diritti dei nostri vicini. I check-points, i coloni, il muro: Israele deve ritirare tutto questo dai territori occupati". "Quanti siete a pensarla così in Israele?" - chiedo. Allarga le mani e scuote la testa.

A Ramallah incontriamo Abbas Zaki, Responsabile degli Affari Esteri di Fatah e negoziatore a Oslo. "Dopo Arafat, quando gli osservatori internazionali prevedevano lo scatenarsi di faide sanguinose, abbiamo fatto un scelta decisa per un sistema democratico e la stiamo perseguendo con determinazione. Abbiamo raggiunto un accordo interno per il cessate il fuoco e il comando unificato di tutte le milizie, abbiamo rinnovato quasi totalmente i componenti del Governo. Se Israele non riconoscerà questi risultati fermando la costruzione del muro e intavolando un negoziato serio sui territori, rischiamo che prevalgano le frange estremiste e che siano vanificati i nostri sforzi". I negoziati sembrano procedere, faticosamente, ma il muro continua a gettare la sua ombra sulle speranze di pace.

di Giorgio Dossi

SCHEDA: LA STORIA DEL MURO

Il "Piano di Ripartizione" dell'Onu del 1947 prevedeva l'assegnazione ai palestinesi del 48 percento della Palestina "storica". Già prima dell'occupazione del 1967 solo il 22 percento della Palestina "storica" rimaneva ai palestinesi e col completamento del muro ne resterà solo il 12 percento.

Dal 1987 (prima Intifada) al 1993, Israele ha iniziato a costruire il primo muro attorno alla Striscia di Gaza: si trattava di una barriera elettrificata ermeticamente chiusa. Nel 2000, il premier Ehud Barak, approva il progetto per la costruzione di una "barriera" che inizierà di fatto nel giugno 2002 nella zona ovest di Jenin. Col marzo 2003. il progetto del muro viene deviato per "proteggere" gli enormi insediamenti di Ariel e Immanuel. E a fine marzo 2003, il premier Ariel Sharon annuncia l'espansione del muro in modo da annettere quasi tutte le terre fertili della Valle del Giordano.

Quando sarà completato il muro avrà una lunghezza di 832 Km, più del doppio della "green line", la linea di confine della Cisgiordania, annettendo ad Israele il 47 percento della Cisgiordania e segregando quasi il 90 percento della popolazione palestinese. Più di 200 Km di muro sono stati già costruiti.

Aggiornamenti sulla questione del muro sono forniti dalla Campagna internazionale "Stop the wall" (www.stopthewall.org) e dal sito italiano della medesima Campagna (http://italy.stopthewall.org) che riportano anche dettagliate mappe. (G.D.)

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