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L’interregno globale
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Foto: Unsplash.com
Le notizie di guerra si susseguono quotidianamente in una catena di crimini e orrori la cui fine non è attualmente prevedibile. Quello che non è successo con la guerra ucraina sta accadendo con i massacri nella striscia di Gaza: l’allargamento del conflitto. Il Libano è in attesa del momento giusto in cui Hezbollah possa sferrare una sua risposta, per quanto la sua leadership è ancora animata da una particolare prudenza. Il mondo ha conosciuto per la prima volta l’esistenza degli Houthi, gli sciiti yemeniti che in realtà combattono una guerra da quindici anni e che, in solidarietà con i palestinesi, si sono esposti nel golfo di Aden negli attacchi contro gli Stati uniti. Questi stanno attaccando le loro postazioni in Yemen ma hanno allargato lo spettro della risposta militare anche in Iraq provocando, dopo circa un ventennio, la reazione degli sciiti di quel paese pure appoggiati da Washington. Altri conflitti si sovrappongono e si intrecciano, la situazione mondiale non era mai stata così complicata e apparentemente non governata, sia pure da logiche di dominio come quelle imposte dagli Stati uniti dal 1991 in poi.
Il quadro restituisce una realtà internazionale la cui complessità si dipana ogni giorno sotto gli occhi di chi vuol vedere. La narrazione mainstream tende a rimuovere questa complessità e si accontenta di ricostruzioni storiche consolatorie. In gran parte del dibattito pubblico, ad esempio, il conflitto israelo-palestinese viene presentato come se fosse scoppiato il 7 ottobre del 2023 e non cinquanta o settant’anni prima; la guerra ucraina, provocata certamente dalle ambizioni neo-imperiali della Russia, ha comunque degli antefatti che non possono essere trascurati e non può essere letta senza guardare al progetto di espansione a est della Nato. Ma tutto questo, invece, viene costantemente accantonato con il solo scopo di difendere in maniera tetragona – uno dei commentatori più impegnati in questo esercizio è Paolo Mieli, sul Corriere della Sera e nelle ospitate tv – il quadro occidentale, le sue alleanze e le sue gerarchie o sostenere ciecamente Israele e il suo governo senza un briciolo di pietas per quanto sta accadendo a Gaza, spesso descritto come danno collaterale di una giusta guerra al terrorismo («Free Gaza from Hamas» è una delle campagne di cui va fiero il Foglio come se Hamas ormai non fosse parte integrante della popolazione della Striscia).
Nelle ultime settimane ci sono stati almeno quattro fattori, alcuni inediti, che invece descrivono sul terreno della guerra, guerreggiata o meno che sia, la complessità di cui parliamo.
Le manovre di Iran, Russia e Cina
Iran, Russia e Cina hanno annunciato che terranno manovre navali congiunte nelle prossime settimane e comunque entro la fine di marzo, a cui sono stati invitati anche altri paesi, anche se ancora non sono stati specificati. Non è stata specificata nemmeno l’area in cui si svolgeranno le esercitazioni, ma dalle precedenti esperienze si può dare per scontato che sia nel teatro del Medio Oriente.
Le notizie di guerra si susseguono quotidianamente in una catena di crimini e orrori la cui fine non è attualmente prevedibile. Quello che non è successo con la guerra ucraina sta accadendo con i massacri nella striscia di Gaza: l’allargamento del conflitto. Il Libano è in attesa del momento giusto in cui Hezbollah possa sferrare una sua risposta, per quanto la sua leadership è ancora animata da una particolare prudenza. Il mondo ha conosciuto per la prima volta l’esistenza degli Houthi, gli sciiti yemeniti che in realtà combattono una guerra da quindici anni e che, in solidarietà con i palestinesi, si sono esposti nel golfo di Aden negli attacchi contro gli Stati uniti. Questi stanno attaccando le loro postazioni in Yemen ma hanno allargato lo spettro della risposta militare anche in Iraq provocando, dopo circa un ventennio, la reazione degli sciiti di quel paese pure appoggiati da Washington. Altri conflitti si sovrappongono e si intrecciano, la situazione mondiale non era mai stata così complicata e apparentemente non governata, sia pure da logiche di dominio come quelle imposte dagli Stati uniti dal 1991 in poi.
Il quadro restituisce una realtà internazionale la cui complessità si dipana ogni giorno sotto gli occhi di chi vuol vedere. La narrazione mainstream tende a rimuovere questa complessità e si accontenta di ricostruzioni storiche consolatorie. In gran parte del dibattito pubblico, ad esempio, il conflitto israelo-palestinese viene presentato come se fosse scoppiato il 7 ottobre del 2023 e non cinquanta o settant’anni prima; la guerra ucraina, provocata certamente dalle ambizioni neo-imperiali della Russia, ha comunque degli antefatti che non possono essere trascurati e non può essere letta senza guardare al progetto di espansione a est della Nato. Ma tutto questo, invece, viene costantemente accantonato con il solo scopo di difendere in maniera tetragona – uno dei commentatori più impegnati in questo esercizio è Paolo Mieli, sul Corriere della Sera e nelle ospitate tv – il quadro occidentale, le sue alleanze e le sue gerarchie o sostenere ciecamente Israele e il suo governo senza un briciolo di pietas per quanto sta accadendo a Gaza, spesso descritto come danno collaterale di una giusta guerra al terrorismo («Free Gaza from Hamas» è una delle campagne di cui va fiero il Foglio come se Hamas ormai non fosse parte integrante della popolazione della Striscia)...