L’insalata era nell’orto (e non solo)

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Chi possiede un orto sa che le stagioni si attraversano tutte e quattro: sguardi attenti, cure più o meno assidue a seconda del tipo di coltivazioni e di filosofia (un orto “classico”? biologico? sinergico?), raccolti che soddisfano la pancia e il cuore. In primavera e in estate molti di noi si cimentano in questa esperienza, concedendosi per sfizio, curiosità o necessità uno spazio da coltivare. Che lo si faccia nel campo di nonna o sul balcone, che lo si condivida o lo si affitti, che sia urbano o montano, che lo si ricavi da pochi metri di giardino, che lo si imponga in mezzo al cemento o che lo si possieda da sempre, l’orto edibile e fiorito, diciamolo, va anche un po’ di moda. E per una volta forse, questa moda è davvero un segnale positivo per le nostre società, perché attiva conoscenze e relazioni, fantasie e amicizie. E ingegni. E perché, diciamolo, è anche terapeutico e fa nascere idee innovative. Vediamone allora alcune, di cui forse avrete già sentito parlare ma che è in ogni caso utile diffondere.

La prima, gli orti aziendali: noti sulla carta ma ancora poco diffusi, Italia compresa. Un fenomeno di certo in crescita, sperimentato soprattutto da grandi multinazionali come Google, Yahoo, Timberland. Un fenomeno che sembra appunto lasciato a “quelli che se lo possono permettere”, alle aziende rodate, che assieme agli orti propongono magari anche gli asili aziendali, le sale gioco o i giochi di ruolo, che hanno a cura i propri dipendenti perché hanno la possibilità di farlo. Un fenomeno che fatica invece a farsi strada nelle realtà medio piccole e nelle ans(i)e della produttività e che spesso viene ancora associato alla distrazione, allo svago e quindi a una perdita di tempo nell’ottica del risultato. Un ”in più” non necessario, anzi superfluo. Ma non è così.

Coltivare l’orto durante le pause dal lavoro è un’attività rilassante, che favorisce la socializzazione e i buoni rapporti tra colleghi: sul mangiare sano forse rimane ancora qualche lecito dubbio, perché se l’azienda ha sede tra le fitte maglie delle reti stradali cittadine, ecco… In Italia hanno osato sperimentare questo modello Diesel, Unicredit e Bottega Veneta. La sede Diesel di Breganze, ad esempio, sta favorendo la conciliazione di due aspetti importanti della vita dei propri dipendenti, il lavoro e la famiglia, promuovendo una coltivazione congiunta dell’orto tra i bambini dell’asilo aziendale e i genitori, in una fruttuosa collaborazione con Slow Food.

La seconda prospettiva da tenere presente è quella degli orti sui tetti: non proprio sui tetti dei condomini e delle case, questa volta, ma sui tetti dei mezzi di trasporto pubblici. Parliamo di veri e propri giardini on the road, nati per far fronte a bisogni reali e importanti delle nostre città: l’aria che diventa irrespirabile, il verde pubblico che scarseggia, gli alberi costretti a cedere spazio a parcheggi e cemento.

Un progetto pilota della città di Girona, in Spagna, proposto da Phyto Kinetic è nato nel tentativo di ridurre la quantità di anidride carbonica presente nell’aria, neutralizzandola con il rimedio più antico e più efficace del mondo - le piante. In pratica: autobus con giardini idroponici sul tetto, che non appesantiscono il mezzo e che vengono annaffiati dall’acqua piovana e da quella emessa dal sistema di climatizzazione di bordo. Un modo per fare del bene alla città, non solo favorendo il riassorbimento di fattori inquinanti, ma anche sfruttando il potenziale turistico dell’iniziativa.

La terza idea innovativa è legata all’energia: elettricità prodotta dalle piante, ovvero un ambizioso progetto della start-up olandese Plant-e che, pur se in fase sperimentale, valuta la possibilità di un dispositivo in grado di convertire la crescita vegetale in energia derivante dal processo di fotosintesi. I microrganismi coinvolti rilasciano elettroni che, raccolti da un apposito elettrodo che converte l’energia chimica in energia elettrica, possono “fare luce”. Un sistema ideale per quelle aree dove non è possibile coltivare ortaggi per l’alimentazione, magari perché significativamente inquinate, senza tra l’altro proporsi né come un processo dannoso per le piante né come un sistema invasivo quanto a infrastrutture, anzi rivelandosi possibilmente molto adatto all’installazione in aree isolate e meno servite.

Non solo quindi un orto o un giardino per raccogliere i frutti del nostro lavoro e consumarli a km 0: gli spazi verdi si identificano sempre più come spazi di condivisione, di idee e di relazioni, ma anche come come luoghi di innovazione tecnologica e di evoluzione, collettiva e personale.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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