L’eredità di un servizio civile a Quito

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Mi guardo indietro di qualche anno e mi chiedo perché. Terminato il percorso di studi, nella foga di cercar un lavoro dignitoso, spesso non vediamo le tante opportunitá che ci vengono servite sul vassoio. Attanagliati dalla ricerca di una fonte di guadagno, ci si dimentica di assaporare il lato piú genuino, spensierato, privo di dogmi della vita. E questo, guarda caso, coincide con la prima (e forse ultima) fase della nostra crescita in cui ce lo possiamo davvero permettere. Mi piace chiamarla arte dell’improvvisazione, come un brano di free jazz, in contrasto con la routine, le consuetudini e le responsabilitá che prima o poi ci piazzano tutti in riga. L’ossessione di assicurarci un’indipendenza economica ci spinge a inseguire il mito del benessere e viviamo quei momenti in una stato quasi insofferente. Quanti neo-laureati si preoccupano di far fruttare il loro titolo in fretta, e non mettono a fuoco l’immagine piú allargata? Quante volte sottovalutiamo l’importanza di quegli anni (per poi pentircene), cosí preziosi nell’insegnarci il valore delle relazioni, nel liberarci dai tanti pregiudizi di cui siamo catalizzatori? É senz’altro vero che un’occupazione stabile, specialmente in tempi di crisi, non é piú solo un atto di emancipazione, assolutamente legittima, ma diventa un’esigenza concreta di sussistenza. Forse peró, una volta sbrigliati dai banchi di scuola o dalle aule universitarie, ci sentiamo piú disorientati che galvanizzati da quella sensazione di libertá latente, e per questo preferiamo rifugiarci in un lavoro comodo, “sicuro”.

I ragazzi del progetto di “Cochapamba vive”, invece di rincorrere il mito del posto fisso, a ottobre del 2016 hanno intrapreso un anno di servizio civile a Quito, Ecuador, in un centro educativo per bambini che vivono in condizioni familiari, sociali ed economiche disagiate. “ll servizio civile per me è la possibilità di lasciare ai bambini ed alle bambine di Cochapamba la voglia di apprendere, al di là di qualsiasi voto, al di là di qualsiasi competizione. Far capire loro che possono imparare, che possono farcela, che possono nutrire interessi e passioni”. Queste le parole di Enza in uno dei tanti resoconti che redigono mensilmente i volontari del progetto, piú volte pubblicati sul sito delle Antenne di Pace. Cochapamba é uno dei sobborghi piú poveri della zona nord della capitale, immerso in un contesto di indigenza e problematiche sociali molto forti. In cima a una collinetta sorge il Centro de Caritas de Cochapamba, un centro di assistenza sociale, medica e educativa che accoglie piú di 150 bambini e 30 persone anziane, spesso malate e abbandonate anche dagli stessi familiari. Ogni mattina Enza, Selene e Daniele si svegliano di buon’ora per aprire le porte del centro e iniziare coi laboratori ricreazionali per gli anziani (canti, balli, corsi di computer tra le varie attivitá). Successivamente visitano le famiglie piú povere del quartiere per consegnare loro un pasto caldo ed ascoltare le difficoltá che quotidianamente le affliggono. Come la storia di Estalin e Javier, due fratellini affetti da gravi problemi neurologici che, per le forti piogge e il terreno irregolare, si sono visti crollare una parete della piccola baracca ricoperta di lamiere in cui vivono con la nonna Maria.

Quando si avvicina mezzogiorno tutte le energie dei volontari sono concentrate nella preparazione del pranzo per i circa 100 bambini che si fiondano nel centro, in uscita dalla scuola. I pranzi sono frugali, a base di riso, lenticchie, platani, una dieta dalla quale raramente si riesce a sfuggire. Si puó solo immaginare come si siani illuminati gli occhi scuri di questi bambini quando i ragazzi si sono presentati con una decina di teglie di pizza con tanto di mozzarella filante. I bambini che frequentano il centro sono a rischio di abbandono scolastico, spesso picchiati dai genitori e spronati a portare a casa qualche dollaro. Situazioni familiari che in occidente sarebbero eccezioni, a Cochapamba rappresentano la regola: il 90% di questi bambini non ha un padre, o meglio non l’ha mai conosciuto. Per non parlare delle scene di violenza e abusi a cui sono costretti ad assistere dentro le mura di casa. Ripulito il piatto, nel pomeriggio si aiutano i bambini a svolgere i propri compiti scolastici, in particolar modo quelli con maggior difficoltá di apprendimento, e ci si arrovella nel inventarsi qualche attivitá ludica che li possa distrarre e far sfogare: da uno spettacolino teatrale a piccoli lavori di artigianato, disegni e composizioni artistiche, da una partitella a palla avvelenata a giochi educativi su abitudini igieniche e alimentari. E cosí tra scherzi e tante, tante risate si finisce per salutare i bambini, che un pó abbacchiati se ne vanno verso casa, quando a Quito inizia l’imbrunire.

Il servizio civile é un’immersione in una realtá sempre piú complicata di quella di partenza, fatta di tanti piccoli equilibri, da cui trarre infinite lezioni e che finisce inevitabilmente per sconvolgerti l’esistenza. Fatta di piccole grandi vittorie, come la raccolta fondi per la costruzione di una biblioteca in una sala del centro, o per l’acquisto di una trentina di uniformi, che qui sono tanto care quanto necessarie, per l’imminente inizio dell’anno scolastico. Un’esperienza che non si puó liquidare come una semplice parentesi, come ci racconta Selene: “andare a lavoro con i pantaloni pieni di buchi e le magliette con mille macchie, opera del lavoro minuzioso compiuto giorno dopo giorno dai piccoli di Cochapamba, perché a loro basta che tu ci sia. Nada más. Sentirsi artisti, creando collane fatte di pasta, o teatrini messi in piedi con due calzini. Improvvisarsi dottori per curare ginocchia sbucciate con filastrocche e magie. Inventare una canzoncina diversa al giorno per farli mangiare. Ridere delle cose più semplici e piangere per quelle serie davvero”.

ENGIM é il nome dell’associazione che promuove questo ed altri quattro progetti su territorio ecuadoriano, tra Quito, la costa e la regione amazzonica, ed assume ogni anno in tutto una ventina di volontari grazie al bando di servizio civile nazionale del Governo Italiano. Perché anche di questo si tratta, di un’occupazione, a tempo pieno, retribuita, che dal 2001 al 2015 ha offerto lavoro e speranze a 350 mila giovani italiani. Attualmente vi sono piú di 36 mila volontari in servizio attraverso una rete di quasi 17 mila enti accreditati e distribuiti in tutti i continenti. E scommetto che non stiano impiegando il proprio tempo a far fotocopie.

Quando chiedo ai ragazzi che cosa si portano a casa da quest’ultimo anno, non ricevo risposte all’unisono. Il servizio civile si vive con emozioni contrastanti. Chi ha imparato a ridimensionare il significato delle cose che possiede, a rivedere il suo stile di vita, perché tutti siamo coscienti che il mondo si regge su un sistema di disuguaglianze estreme, ma vederle con i propri occhi giorno dopo giorno fa tutto un altro effetto. Ma c’é anche la rassegnazione di chi accetta che non tutto si puo risolvere, non si possono sempre aiutare le persone esclusivamente secondo i nostri canoni, soprattutto se loro per prime non chiedono aiuto in maniera consapevole. L’umiltá di chi matura, abdicando dal sogno di voler cambiare il mondo a tutti i costi, e inizia dal cambiare se stesso. Per questo Selene mi rincuora enormemente quando, tra le lacrime degli ultimi giorni di Cochapamba, mi dice: “non posso sentirmi dire che ora si torna alla vita vera, perché non riesco a immaginare niente di più vero di quello che ho vissuto quest’anno”.

Marco Grisenti

Laureato in Economia e Analisi Finanziaria, dal 2014 lavoro nel settore della finanza sostenibile con un occhio di riguardo per l'America Latina, che mi ha accolto per tanti anni. Ho collaborato con ONG attive nella microfinanza e nell’imprenditorialità sociale, ho spaziato in vari ruoli all'interno di società di consulenza e banche etiche, fino ad approdare a fondi d'investimento specializzati nell’impact investing. In una costante ricerca di risposte e soluzioni ai tanti problemi che affliggono il Sud del mondo, e non solo. Il viaggio - il partire senza sapere quando si torna, e verso quale nuova "casa" - è stato il fedele complice di anni tanto spensierati quanto impegnati, che mi hanno permesso di abbattere barriere fuori e dentro di me, assaporare panorami, odori e melodie di luoghi altrimenti ancora lontani, appagare una curiositá senza fine. Credo in un mondo più sano, equilibrato ed inclusivo, dove si possa valorizzare il diverso. Per Unimondo cerco di trasmettere, senza filtri, la veritá e la sensibilità che incontro e assimilo sul mio sentiero.

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