www.unimondo.org/Notizie/L-ecologia-politica-non-e-esente-da-pregiudizi-patriarcali-262154
L'ecologia politica non è esente da pregiudizi patriarcali
Notizie
Stampa

Foto: Unsplash.com
Ad inizio dicembre, nelle frenetica Città del Messico, ho incontrato l'attivista eco-femminista Yayo Herrero. Era alla libreria La Volcana, un luogo magico nel quartiere di Santa Maria La Ribera. Una piccola libreria che da spazio a dibattiti, presentazione di libri e documentari oltre che alle case editrici indipendenti del Latino America. Yayo non la conoscevo bene ma il suo intervento è stato potente e dirompente unendo lotta e pratica femminista con quella ecologista e de-coloniale. Così è nata l'idea di un'intervista, purtroppo a distanza, perchè lei è dovuta tornare in fretta a Madrid. È insegnante, ricercatrice, ingegnera, antropologa e soprattutto attivista. E capace di tenere assieme teoria e pratica, utopia e immediatezza, prospettiva e tattica. Insomma mescola accademia e lotta sociale, facendo ponte tra le due e attivando, attivandosi, conflitto.
Sarà banale, ma cosa si intende per eco-femminismo?
E' un movimento politico e una corrente di pensiero la cui caratteristica principale è quella di basare la pratica politica sul riconoscimento della vita umana come vita eco-dipendente e interdipendente.
Eco-dipendente nel senso che la vita umana si svolge ed è inserita in rete con aria, acqua, piante, microrganismi e animali, ed è proprio l'interazione tra tutti questi elementi che produce le condizioni stesse per essere vivi.
In altre parole, non c'è vita umana possibile, non c'è tecnologia possibile, non c'è economia possibile, non c'è acqua, non c'è ossigeno per respirare, non c'è cibo per mangiare, non c'è energia, non ci sono minerali per sostenerla se non sono estratti dalla trama di vite di cui siamo parte, una trama che ha anche dei limiti fisici.
La vita umana è anche una vita fatta di corpi che sono vulnerabili, cioè bisognosi di cibo, riparo, cure, energia, relazioni, affetto, e quando questi bisogni non sono soddisfatti, ciò che accade è che non c'è vitalità o è una vita precaria.
Sono per lo più le donne ad essere state responsabilizzate del mantenimento quotidiano della vita. Non perché le donne siano geneticamente più dotate, ma perché la divisione sessuale del lavoro nelle società patriarcali lo ha imposto.
Siamo esseri dipendenti e interdipendenti. La vita umana non si sostiene da sola e deve essere sostenuta intenzionalmente e che, quindi, dobbiamo costruire società, culture e politiche che mettano la vita al centro, cioè che si impegnino in modo radicale ed efficace a garantire il soddisfacimento delle condizioni di vita su un pianeta che le produce e che ha dei limiti fisici.
Il movimento consapevole e che sostiene una politica che mette al centro la vita e denuncia le politiche che dichiarano guerra alla vita è quello che chiamiamo eco-femminismo.
Lo sguardo patriarcale pervade il campo dell'ecologia politica?
L'ecologia politica, come ogni movimento politico - persino quelli emancipatori - non è esente da pregiudizi patriarcali perché nasce da strutture e soggetti patriarcali, il più delle volte incarnati da corpi maschili ma talvolta anche da corpi femminili. Queste persone pensano o riflettono sulle relazioni dei nostri sistemi economici con la natura. Dimenticano, però, che tali sistemi economici vedono come protagonisti persone bisognose e/o vulnerabili. Persone che non possono essere completamente indipendenti e che che sono interdipendenti e la cui cura ricade soprattutto sulle comunità e sulle donne.
Pertanto, l'economia ecologica deve anche fare questa riflessione e inserire gli esseri umani, incluso i loro corpi, nel quadro di relazioni necessarie per il sostegno della vita.
Ho intervistato e incontrato donne indigene e attiviste sociali e quasi tutte sono state critiche con l'accademia e con il pensiero de-coloniale. Pensano che l'accademia non stia contribuendo alle lotte per un cambiamento di paradigma in senso femminista, de-coloniale e anti-capitalista. Tu cosa ne pensi?
Va detto che ci sono molte persone in ambito accademico, e settori di pensiero, che da tempo produco riflessioni basate sull'umiltà, sul riconoscimento del pensiero generato al di fuori e sul riconoscimento delle pratiche. Non vorrei generalizzare senza riconoscere gli sforzi che si stanno facendo.
E' vero che il pensiero accademico è un pensiero erede della modernità e dell'Illuminismo. Non solo perché non incorpora i punti di vista de-coloniali o non incorpora altri saperi, ma perché nella sua stessa concezione è un pensiero fratturato che separa la ragione e il sapere dalla pratica.
Spesso è radicato nell'accademia e, in maniera autoritaria, stabilisce cosa sia e con non sia il sapere.
Il pensiero de-coloniale, così come lo sforzo e la lotta politica de-coloniale, è assolutamente cruciale. Dobbiamo fare attenzione affinchè il pensiero de-coloniale non diventi etichetta di facciata e frammentata che viene applicata all'interno dell'accademia senza tenere conto delle persone che lo producono e che lo incarnano.
Abbiamo bisogno di un modo di costruire la conoscenza basato su dialoghi rispettosi tra ciò che viene generato dal mondo accademico e ciò che viene generato dalle comunità, dai movimenti sociali e nella vita concreta.
All'interno del mondo accademico abbiamo bisogno di un'enorme umiltà epistemica per riconoscere, quando parliamo di ecologia politica o di economia ecologica, che stiamo lavorando e producendo conoscenza da molti decenni e che finora gli indicatori che spiegano come si sta evolvendo la vita non stanno migliorando.
Forse c'è qualcosa nel nostro modo di produrre conoscenza che non funziona, che non si collega bene con le realtà concrete, e in questo senso penso che valga la pena di guardare altrove, in altri angoli apparentemente oscuri e invisibili, dove la vita è sostenuta e dove le cose accadono.
Può esserci un'unità tra le lotte urbane e quelle indigene/campesine?
Devono e possono esistere relazioni e alleanze.
Come sempre, perché questo esista, ci deve essere un dialogo rispettoso e non una dinamica gerarchica in cui l'urbano è sovrapposto o sovrapponibile all'ambito rurale come è avvenuto, almeno qui in Occidente, per tanto tempo.
Le lotte contadine in difesa del territorio sono lotte molto più armoniosamente connesse alle esigenze dei territori. Costruiscono percorsi di resistenza o di ri-esistenza, come si dice in alcuni luoghi. Succede anche all'interno della città dove ci sono lotte simili, lotte in difesa della casa, lotte in difesa della qualità dell'aria, lotte contro la povertà energetica, lotte in difesa dell'ambiente, lotte contro la violenza, lotte per la costruzione di quartieri comunitari che possano essere quartieri di cura, o le lotte per l'agricoltura urbana.
Credo sia molto importante tenere presente che esistono o possono esistere concetti e approcci che ci aiutano a trovare il dialogo. L'idea delle bioregioni o delle ecoregioni cerca di andare oltre la netta divisione che le culture occidentali hanno stabilito tra città e rurale come se fossero due entità completamente separate e non un continuum in cui si stabiliscono relazioni.
Andrea Cegna