L'altra grossa crisi afgana: cresce l'esercito di tossicodipendenti

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I tossicodipendenti sono appostati nelle strade di questa zona di confine come scheletri scavati, con i capelli arruffati e sporchi, gli occhi spenti. I villaggi che sorgono vicino alle strade sono autentiche città di zombie, dove famiglie di uomini, donne e bambini nascondono la loro dipendenza all’interno di desolate zone con costruzioni di fango. “Talvolta penso che è meglio morire che vivere così,”  ha detto Haidar, seduto sul pavimento del suo soggiorno con accanto un barattolino di polvere che sembra zucchero. Anche la sua famiglia, una moglie e dei bambini, avevano i visi scavati tipici della dipendenza. Nella provincia occidentale di Herat, considerata un’isola di stabilità in Afghanistan, questa desolata città di confine è invece una “vetrina” di una crisi che si sta intensificando: da lungo tempo leader nella produzione dell’oppio, l’Afghanistan è ora diventato una delle società del mondo che dipende di più dalla droga.

Il numero di chi fa uso di droghe in Afghanistan, si calcola sia di 1,6 milioni, o il 5,3% della popolazione, tra le percentuali più alte del mondo. In tutta la nazione 1  famiglia su 10 ha almeno un membro che fa uso di droghe, secondo un recente rapporto dell’Ufficio dei Narcotici Internazionali e dell’Applicazione della legge. Nella città di Herat la percentuale è di una su cinque. Dal 2005 al 2009 l’uso degli oppiacei è raddoppiato, secondo l’Ufficio delle nazioni Unite per le droghe e lacriminalità, mettendo l’Afghanistan  alla pari con la Russia e l’Iran e il numero di consumatori di eroina è balzato a più del 140%. La maggior parte di esperti di droga pensano che la percentuale di uso di droga da allora sia soltanto aumentata.

In un paese turbato dalle avversità, dalla sua lunga guerra fino alla corruzione dilagante, la tossicodipendenza occupa una posizione minore tra le priorità nazionali. I finanziamenti governativi per le cure e altri tipi di aiuto sono meno di 4 milioni di dollari all’anno. Ci sono soltanto meno di 28.000  programmi  di cure ufficiali disponibili su scala nazionale, dicono i funzionari, e tali programmi fanno  molto conto dei circa 12 milioni all’anno di dollari di finanziamenti nazionali extra destinati alle cure.

La comunità internazionale e il governo afgano hanno invece incentrato la loro attenzione sulla riduzione della produzione di oppio. Fin dall’inizio della guerra, nel 2001, gli Americani hanno speso più di 6 miliardi di dollari per limitare l’industria dell’oppio dell’Afghanistan, compresa l’eradicazione e i  sussidi per coltivazioni alternative. Il tentativo è andato avanti con difficoltà e in molte zone gli sforzi di eradicazione  sono stati abbandonati in maniera non ufficiale perché costavano troppo in termini di appoggio pubblico perduto per il governo.

Nei due anni passati, la coltivazione dell’oppio è cresciuta al più alto livello dal 2008, dato che la richiesta mondiale e i prezzi rimangono alti. Il semplice volume della fornitura ha alimentato la richiesta interna, un fenomeno che lo zar della droga in Afghanistan (all’epoca di Bush direttore dell’Ufficio della Politica Nazionale per il controllo della droga, n.d.t.), John Walters, definisce “l’effetto Coca-Cola,” dopo le tattiche di saturazione del mercato di quella impresa. Rinforzare lo status quo è una mancanza di scelte per le cure, come sostituire la droga con il metadone, o un piano completo per affrontare la crisi.

“Questo è uno tsunami per il nostro paese,” ha detto il Dottor Ahmad Fawad Osmani, direttore per il Programma di riduzione della domanda di droga al Ministero della Sanità Pubblica. “L’unica cosa che ci ha portato la nostra produzione di droga è un milione di persone che fanno uso di droghe.” Mentre è peggiorata molto negli anni recenti, la crisi della droga in Afghanistan non è una novità. I funzionari della sanità internazionale hanno capito presto il problema, che in qualche misura ha avuto origine dall’uso tradizionale dell’oppio come medicamento. Infatti una delle primissime sfide che le forze di sicurezza afgane hanno dovuto superare è stata l’immagine pubblica che si aveva di loro come una banda di ladri storditi dall’oppio.

Il problema, anche se è più controllato, esiste ancora. Proprio il mese scorso, l’agenzia di intelligence della nazione, cioè la Direzione Nazionale della Sicurezza, ha licenziato 65 impiegati dopo avere scoperto che erano oppiomani. Nelle zone rurali, si ipotizza che il problema sia peggiore. In alcuni villaggi, il tasso di uso di droga è alto quanto il 30% della popolazione, in base a campioni di capelli, di urina e di saliva presi dagli autori dello studio sulla situazione nelle città. Le droghe di cui tradizionalmente non si fa largo uso qui, compresi  i cristalli di metanfetamina  fanno ora anche esse parte del problema.

Forse nessun posto in Afghanistan presenta un’immagine più sconfortante di tossicodipendenza della provincia di Herat. Considerata largamente come una storia con uno svolgimento positivo, la provincia gode di un’economia in rapida crescita, una società relativamente progressista e una capitale vivace  senza le strade piene di spazzatura i piccolo corsi d’acqua  che soffocano la maggior parte delle grandi città afgane. Ma sotto la superficie, Herat sta lottando con il problema più serio del paese, la tossicodipendenza. Il capo del ministero per il contrasto alla droga a Herat dice che ci sono da 60.000 a 70.000 tossicodipendenti nella provincia, anche se dei funzionari della sanità calcolano che il numero sia più vicino a 100.000. Nella capitale, Kabul, circa l’8% della popolazione fa uso di droghe, ha riscontrato il nuovo rapporto internazionale.

La crisi della tossicodipendenza porta con sé tutti i tipi di problemi, compresa la criminalità e le preoccupazioni per la sanità pubblica. Un rapporto del 2010 dell’Università John Hopkins di Baltimora ha trovato che  circa il 18% di chi si inietta la droga nella capitale provinciale, è stato infettato dall’H.I.V., mentre a Kabul è soltanto il 3 %.

Da lungo tempo luogo di sosta per gli uomini che lavorano come braccianti giornalieri in Iran, Islam Qala è anche un punto di passaggio per i tossicodipendenti che ritornano a Herat. La maggior parte degli uomini dice che hanno preso l’abitudine mentre erano in Iran. Le autorità di quel paese che lottano per affrontare una diffusa crisi per la droga, sono rapidi a scacciare a migliaia  i tossici afgani al di là del confine, e questi si riversano di nuovo a Islam Qala sei giorni alla settimana. Nella capitale Herat, i tossici riempiono le strade e i parchi, chiedendo la carità ai passanti e agli automobilisti  con insistenza implacabile.

Zone della città sono state trasformate in ghetti di tossici, come Kamar Kulagh, un ammasso  margine della strada fatto di sacchetti di sabbia, di pietre e di stracci. Pochi giorni fa, un tenue contorno di figure avanzava lentamente attraverso un panorama sbiadito, situato di fianco a una superstrada al margine settentrionale della città. Vetri rotti coprivano i pendii che portavano all’accampamento. Un locale di fortuna costruito con un radiatore di camion buttato via, e con sedili rotti del water, offriva una pausa dal sole. L’odore di feci si diffondeva nell’aria.

Azim Niazi, di 30 anni, attraversava il villaggio strascinando i piedi e tenendo strette due borse gonfie di bottiglie vuote, da riciclare per pagarsi l’abitudine di drogarsi che diceva di aver preso quando faceva il bracciante in Iran. Wahid Ahmad, 27 anni, che diceva di vivere qui da quando è stato espulso via dall’Iran due anni fa, lo ha raggiunto. I due hanno cominciato a parlare della morte di uno dei residenti del campo, un uomo che conoscevano soltanto come Reza. “Questo è il terzo giorno in cui qualcuno è morto qui,” ha detto il signor Ahmad, elencando le malattie che affliggono coloro che risiedono nel campo. Ha fatto una pausa riflettendo per un momento mentre il  ronzio del traffico passava oltre velocemente. Gli occhi iniettati di sangue  si affondavano nel suo viso  scarno. I due uomini si sono inoltrati nel campo per controllare il corpo di Reza, steso in una specie di tugurio di pietra coperto da un tetto di plastica ingiallita. Reza giaceva sulla schiena, con la parte inferiore del suo camicione tirato sulla sua faccia emaciata. Le mosche ronzavano dentro e fuori del tugurio. Un profumo forte mascherava quel disfacimento. “Il suo amico morirà domani,” ha detto il signor Niazi,  indicando un uomo, uno scheletro ricoperto di pelle, che giaceva su un pezzetto di ombra lì vicino. Passava di lì un uomo che portava  in braccio la sua bambina di due anni.

Sebbene molti dei tossici di Herat arrivassero attraverso l’Iran e Islam Qala, altri hanno deciso di restare più vicino al confine – o semplicemente non sono più in grado andarci di nuovo. L’abuso di droghe ha messo radici anche nella comunità locale, infettando interi villaggi attorno a islam Qala, compresi ragazzini dipendenti dal fumo passivo dell’oppio.

“L’intera regione è dipendente, interi villaggi,” ha detto Arbah Shahabuddin, un anziano di Islam Qala. “Se ti toglieraio le scarpe, i tossicodipendenti  te le ruberanno.” Per dimostrare la rovina, il signor Shahabuddin, un dottore omeopatico, si è  offerto di farmi fare un giro dei villaggi dove si fa uso di droga. Un labirinto di strade di terra dividono le case che sorgono dietro alte mura di fango. Il signor Shahabuddin ha indicato la nuova costruzione che si vedeva al di sopra dei muri di complessi abitativi eleganti: le case dei trafficanti. “Chiunque qui ha un aspetto pulito è un trafficante,” mi ha spiegato.

II signor Shahabuddin continuava il giro, trascinando fuori dalle loro case le famiglie alla luce del giorno, per raccontare le loro storie. Erano spaventate, si esprimevano in modo piuttosto sconnesso  e particolarmnet debilitate dalla tossicodipendenza. In una casa una donna ha aperto la porta ed è corsa a prendere suo marito che si stava ‘facendo’. Il signor Mohammad, di 35 anni, ha detto cha fa uso di eroina da sette anni. “E’ molto facile trovare  l’eroina qui,” ha detto. Sua moglie, Bibi Gul, in piedi sulla porta di ingresso della loro casa, si lamentava che il marito la picchiava ogni giorno e che prendeva i soldi dei loro bambini per continuare nella  sua dipendenza. Il signor Mohammad, che aveva un cappello di lana nel calore del mezzogiorno, guardava fisso lontano, sorridendo.

Azam Ahmed da Znetitaly.altervista.org

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