L'Italia? In caduta libera

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Che la crisi economica globale abbia aumentato i tassi di povertà e di esclusione sociale è ormai un dato incontrovertibile. Come lo è il fatto che la forbice fra la paga di un dipendente e quella dei suoi supermanager abbia raggiunto un divario che non ha precedenti nella storia degli ultimi decenni. E tuttavia non è facile definire gli effetti della crisi, in parte perché molto spesso chi ne è maggiormente colpito diventa invisibile, e in parte perché le sue conseguenze hanno una distribuzione a macchia di leopardo e dipendono dalle politiche di contrasto alla povertà messe in atto per mitigarne gli effetti.

Alla fine del 2010 è uscito il decimo rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia curato dalla Caritas Italiana e dalla Fondazione Zancan di Padova che titola “In caduta libera”. Non è l’unico studio sulla questione: ormai è chiaro che la crisi ha conseguenze che vanno ben oltre l’immediato e che per questo richiede una riflessione sull’impatto che avrà sulle condizioni economiche, sui diritti civili, sulla percezione del sé e sulla struttura stessa delle democrazie.

La domanda che apre un altro rapporto pubblicato nel novembre scorso da Unicef-Centro di ricerca Innocenti, “fino a che punto si tollera che i bambini più svantaggiati rimangano indietro?” (Bambini e adolescenti ai margini. Un quadro comparativo sulla disuguaglianza nel benessere dei bambini nei Paesi ricchi) mantiene una drammatica urgenza perché in realtà è applicabile a tutte le età: fino a che punto tolleriamo di perdere qualcuno per strada, di lasciare indietro qualcuno come prezzo per il mantenimento del benessere nel momento in cui le risorse per tutti sembrano mancare?

Il titolo del rapporto Zancan-Caritas lascia trasparire la grande la preoccupazione degli analisti che – correggendo il dato Istat del luglio 2010 che prospettava una diminuzione della povertà relativa nel nostro Paese – mettono in luce un peggioramento generale e un aumento significativo della povertà in Italia. L’allarme non va sottovalutato, anche se nella nostra regione gli interventi dell’ente pubblico in ambito economico e sociale hanno fino a oggi contribuito ad attutire l’impatto di una crisi che nemmeno la più attenta e oculata amministrazione riesce a controllare.

Si legge nel rapporto: “Secondo l’Istat lo scorso anno l’incidenza della povertà relativa è stata pari al 10,8% (era 11,3% nel 2008), mentre quella della povertà assoluta risulta del 4,7%. Secondo l’Istat si tratta di dati “stabili” rispetto al 2008. In realtà, si tratta di un’illusione «ottica»: succede che, visto che tutti stanno peggio, la linea della povertà relativa si è abbassata, passando da 999,67 euro del 2008 a 983,01 euro del 2009 per un nucleo di due persone.

Se però aggiornassimo la linea di povertà del 2008 sulla base della variazione dei prezzi tra il 2008 e il 2009, il valore di riferimento non calerebbe, ma al contrario salirebbe a 1.007,67 euro. Con questa operazione di ricalcolo, alzando la linea di povertà relativa di soli 25 euro mensili, circa 223 mila famiglie ridiventano povere relative: sono circa 560 mila persone da sommare a quelle già considerate dall’Istat (cioè 7 milioni e 810 mila poveri) con un risultato ben più amaro rispetto ai dati ufficiali: sarebbero 8 milioni e 370 mila i poveri nel 2009 (+3,7%)”.

La povertà crescente colpisce in modo differenziato: ne risentono da un punto di vista geografico gli abitanti delle regioni del Sud, da un punto di vista familiare soprattutto quelle che hanno tre o più figli o quelle monogenitoriali, e da un punto di vista della formazione quelle nelle quali ci sono i livelli di istruzione più bassi.

Accanto a questo, continua il rapporto, è necessario tener conto del fenomeno delle persone e delle famiglie impoverite le quali, pur non essendo povere, vivono in una condizione di forte fragilità di carattere economico. Sono le famiglie che hanno risentito della crisi dovendo “modificare, in modo anche sostanziale, il proprio tenore di vita, privandosi di una serie di beni e di servizi, precedentemente ritenuti necessari. Il fenomeno è confermato anche da alcuni dati: nel 2009 il credito al consumo è sceso dell’11%, i prestiti personali hanno registrato un -13% e la cessione del quinto a settembre 2009 ha raggiunto il +8%”. Sommando queste due categorie, sostengono Caritas e fondazione Zancan, si arriva a quasi nove milioni di poveri, una cifra che dovrebbe allarmare tutti, per le conseguenze che può avere non solo nell’immediato per la vita del Paese.

Questi dati non riguardano il consumo di generi voluttuari. Il numero di persone che rispetto a un anno fa si trova in difficoltà a pagare spesa e cambiali è salita del 14% a livello nazionale. Il problema è, mette in luce il rapporto, che gli ammortizzatori sociali rappresentano “un argine utile, ma fragile” e che quindi sono necessari interventi più organici e strutturali.

In questo quadro generale, Zancan e Caritas rivolgono un’attenzione particolare alla famiglia per tre ragioni: prima di tutto perché è la prima vittima della povertà; in secondo luogo perché la precarietà economica incide profondamente sulla creazione dei nuovi nuclei familiari; infine perché nel nostro Paese, al di là delle affermazioni di principio, rimangono carenti gli interventi di sostegno alla famiglia per “rimuovere gli ostacoli che la mortificano”.

È preoccupante che la povertà familiare sia un fenomeno che si sta consolidando e che non accenna minimamente a diminuire e che tende anzi a crescere con il numero dei figli (l’indice di povertà relativa tocca a livello nazionale il 26,1 % per le famiglie con più di tre figli) e con la presenza in famiglia di persone non autosufficienti.

Le conseguenze di questa situazione non vanno misurate solo con la diminuita capacità di acquisto. Più in profondità la crisi rischia di rinforzare condizioni di disagio che conducono le persone all’interno di un circolo vizioso dal quale diventa molto faticoso uscire: “È sempre più difficile estrapolare modelli e percorsi generalizzabili di povertà: le carriere di povertà sono sempre più veloci, complesse, multidimensionali, con frequenti uscite e “ritorni” in una situazione di disagio sociale. Anche se non si rimane a lungo in situazione di disagio economico, il persistere del “fiatone” economico e il progressivo esaurimento delle risorse determina situazioni di disagio psicologico e conflittualità intrafamiliare. Inoltre, le carriere dei nuovi poveri sono multiproblematiche: vari e molteplici fattori di disagio si intrecciano in un “effetto a spirale” dove giocano un ruolo crescente gli aspetti affettivi e relazionali”.

Non è una novità il fatto che il peggioramento della situazione economica modifichi in profondità anche la qualità delle relazioni e metta in crisi la dimensione del senso dell’esistenza. Semmai vanno sottolineate qui la velocità del cambiamento, che non permette quegli adattamenti necessari per contrastare gli effetti della crisi e dell’impoverimento, e l’estensione della criticità alla dimensione familiare nel suo complesso: “Le storie di povertà incontrate dalla Caritas sono sempre meno legate a individui soli e sempre più caratterizzate invece da un coinvolgimento dell’intero nucleo familiare.

Particolarmente vulnerabili le persone appartenenti alla fascia di età di mezzo, i separati e divorziati, le donne sole con prole, gli occupati con instabilità lavorativa persistente, i licenziati e cassa integrati, le famiglie monoreddito, le donne con difficoltà a rientrare nel mercato del lavoro dopo la condizione di maternità, ecc”. Accanto a questo il rapporto mette anche in luce la tendenza crescente a spendere eccessivamente rispetto alle proprie entrate: a tale livello si colloca il fenomeno del gioco d’azzardo sul quale, in periodi di crisi, si carica l’illusione di uscire dall’indigenza…

Difficile dare soluzioni sbrigative. L’impressione più diffusa è che la crisi non sia solo profonda, ma soprattutto complessa, e che la sua distribuzione richieda interventi differenziati, coordinati, e di grande razionalità.

Si tratta, mi sembra, e lo dico da non economista, di non perdere di vista due principi fondamentali.

Il primo, che una democrazia non può tollerare di perdere i deboli. L’esclusione sociale è una sconfitta della democrazia e ne minaccia in profondità la stessa sopravvivenza.

Il secondo, che il perno per un’azione efficace contro la povertà va spostato con forza sui poveri. Un mondo nel quale, il primo lunedì del mese otto banchieri possono decidere in una riunione a Wall Street il destino dell’economia per il mese successivo non funziona: o meglio, funziona solo attraverso equilibri garantiti dalla violenza e dalla concentrazione dei poteri. A fronte di questo approccio, credo che a una democrazia matura ne spetti un altro: quello di interrogarsi sul destino di chi fa più fatica e di fare di quella fatica una delle priorità della propria azione politica. Prima che sia troppo tardi.

Alberto Conci

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