L'Europa e le "nuove" guerre al tempo della globalizzazione

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"Gli anni '90 hanno visto il costituirsi di differenti alleanze a livello internazionale e di nuove strategie di azioni militari (intervento umanitario, peace-keeping, polizia internazionale), ma la costante è rimasta la stessa: si tratta di missioni di guerra". Ha esordito Piero Maestri nel suo intervento al seminario "L'Europa e le 'nuove' guerre al tempo della globalizzazione" nell'ambito del Forum sociale di Riva del Garda.

"Il recente unilateralismo Usa con la politica dell'intervento unilaterale preventivo, ha coinvolto anche l'Europa che in questi anni ha incrementato le proprie spese militari, gli investimenti per lo sviluppo di sistemi di armi e soprattutto gli interventi in operazioni militari - ha proseguito Maestri.

"L'Europa si trova oggi ad un bivio: essere totalmente integrata nella Nato o diventare una forza autonoma in contrapposizione agli Usa. Molto probabilmente si posizionerà nel mezzo di questo bivio, ma svolgendo un ruolo sempre più attivo in un quadro definito dagli Usa. Il compito del movimento è allora quello di lavorare non per un'Europa in contrapposizione agli Usa, ma per un'Europa disarmata".

Sono questi alcuni degli stimoli che Piero Maestri della rivista 'Guerra&Pace' ha posto nel suo intervento al seminario "L'Europa e le 'nuove' guerre al tempo della globalizzazione" nell'ambito del Forum sociale di Riva del Garda.

"Di fronte ad un'Europa che si costruisce sempre più come una fortezza armata è necessario trovare modi alternativi di rapporti: la nonviolenza e la diplomazia popolare sono le uniche alternative viabili" - ha sostenuto Lisa Clark dell'associazione 'Beati i costruttori di pace'. "L'immagine che più di ogni parola fa capire il significato di questi due termini è quella del corteo di 500 persone disarmate a Sarajevo nel dicembre 1992 nel pieno della guerra nella ex Iugoslavia: è la società civile che si oppone alla guerra". "Il compito della diplomazia popolare è quello di spezzare lo 'scontro di civiltà' in atto contribuendo alla costruzione della società civile in ogni angolo del pianeta, nella ex Iugoslavia come in varie regioni dell'Africa e nelle stesse società occidentali" - ha concluso.

"Per fare questo" - ha sostenuto Adel Jabbar (Università Cà Foscari di Venezia) è necessario ripensare le stesse categorie culturali che storicamente sono state alla base del colonialismo occidentale e che oggi sostengono lo "scontro di civiltà" e alimentano la concezione di "civiltà superiori". Occorre cioè creare le condizioni in cui tutti, e specialmente coloro che vivono alla periferia del mondo, possano partecipare alla costruzione di una società basata sulla convivialità delle differenze. E' questo l'unico antidoto ai vari tipi di fondamentalismo, di razzismo e di terrorismo" - ha concluso.

Stasa Zajovic delle 'Donne in nero di Belgrado' e Lino Veljak della facoltà di filosofia di Zagabria hanno riportarto alla memoria la terribile esperienza dei balcani dove "pulizie etniche e stragi sono state perpertrate da tutte le parti contendenti", mentre Wilma Mazza di YaBasta ha presentato le recenti esperienze di disobbedienza alla guerra.

Nel dibattito Giorgio Beretta della Campagna di pressione alle banche armate ha sottolineato la stretta connessione tra liberalizzazione del commercio delle armi ad uso militare (recentemente approvata anche in Italia dalla ratifica degli Accordi di Farnborough) e le proposte di alcuni gruppi parlamentari per rendere meno restrittiva la legge sul porto d'armi: si tratta in entrambi i casi di legislazioni che rispondono alle forti pressioni delle lobby armiere.

Temi che sono stati ripresi nel workshop pomeridiano dove Walter Saresini di 'Basta guerra' ha tracciato il quadro delle iniziative in atto: ripristinare l'Agenzia della Regione Lombardia per la ricoversione dell'industria armiera, le Campagne "fuori le basi Nato dall'Italia", Campagna per il rafforzamento del Codice di Condotta Europeo sull'esportazione di armi.

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