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L’Educazione italiana al vaglio dell’OCSE
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Foto: It.freepik.com
La scuola italiana al vaglio dell’OCSE, o meglio l’equità del sistema scolastico in Italia. Ricordate la “Contessa” cantata dai Modena City Ramblers che appare sconvolta perché “anche l'operaio vuole il figlio dottore”? Quell’aspirazione è frutto dell’ascensore sociale di cui la scuola è stata lo strumento cardine per la generazione del post-Miracolo economico italiano.
E oggi è ancora così?
Il grado di istruzione dei genitori incide in maniera significativa sul livello di istruzione conseguito dai loro figli. In Italia, il 69% degli adulti di età compresa tra i 25 e i 64 anni, di cui almeno un genitore è in possesso di un titolo di studio terziario, ha analogamente conseguito lo stesso titolo di istruzione; al contrario, nessun titolo di studio secondario di secondo grado è conseguito dal 37% degli adulti i cui genitori non sono in possesso di un tale titolo di studi. È l’“Education at a Glance” 2024 a dircelo. Il report annuale guarda all’educazione globale concentrandosi su partecipazione, risorse investite, risultati educativi; ma è soprattutto sull’equità del sistema scolastico che emergono dati di interesse. Pur non raggiungendo i livelli di equità di Danimarca e Finlandia, dove il divario degli studenti svantaggiati con i loro compagni di scuola è praticamente assente, l’Italia si colloca nella media dei Paesi OCSE per i risultati scolastici di studenti di 15 anni che raggiungono le competenze minime nei famosi “test Invalsi” (ufficialmente l’indagine PISA - Programme for International Student Assessment). Per gli studenti di origine straniera il divario di risultato appare assolutamente contenuto, con un trend migliore anche di Stati OCSE con più alti tassi di immigrazione. Anche il divario di genere non appare significativo.
Ma veniamo alle note più dolenti.
L’Italia destina all’Istruzione e alla Ricerca il 4% del PIL; un valore inferiore alla media dei Paesi OCSE che è pari al 4,9% del PIL.
Sono ancora molti i NEET in Italia, i ventenni che non lavorano né seguono un percorso scolastico o formativo, ma la loro percentuale tra il 2016 e il 2023 è diminuita dal 32% al 21% (al pari di Paesi come Messico, Croazia e Polonia), pur con un tasso più elevato per le donne di età compresa tra 25 e 29 anni (31% a fronte del 20% degli uomini).
È sui laureati che il report evidenzia una situazione problematica. In Italia i laureati risultano pochi, poco occupati e poco pagati, in particolare se donne, nonostante si laureino di più (35% donne; 23% uomini). Un 20% di laureati a fronte della media europea del 40% e, guardando, alla fascia di età 25-34 anni, i laureati italiani risultano il 29% a fronte del 47% della media dei Paesi OCSE. Infine, ciliegina sulla torta, a dispetto di una così bassa percentuale di laureati, il mercato del lavoro non sembra capace di assorbirli e valorizzarli. La disparità di genere è evidente in relazione al lavoro: per le donne senza un diploma di scuola secondaria il tasso di occupazione è inferiore del 25% rispetto a quello degli uomini, e persino tra i laureati, le donne in media guadagnano il 17% in meno rispetto agli uomini. Un altro dato rappresenta un esempio di lampante iniquità: in Italia le giovani laureate guadagnano in media il 58% del salario dei loro omologhi uomini, il che corrisponde al differenziale salariale più ampio dell’intera area OCSE.
Sempre sul fronte del divario di genere, il rapporto registra che le studentesse italiane sono quelle che perseguono carriere nelle discipline STEM (acronimo utilizzato per indicare le discipline scientifico-tecnologiche) in più alta proporzione nei Paesi Ocse. Tuttavia, in Italia, nonostante la generale promozione politica e delle stesse strutture formative, le stesse laureate STEM hanno maggiori difficoltà in termini occupazionali, probabilmente per ragioni pregiudiziali. Le donne laureate nelle aree di informatica, ingegneria e architettura hanno circa il 9% di probabilità in meno di trovare lavoro rispetto agli uomini; l’8% nelle scienze e nella matematica.
Infine l’attenzione del Rapporto verte sul personale docente. L’età media degli insegnanti italiani è più elevata rispetto alla media dell’OCSE: oltre 50 anni per il 53% dei docenti italiani rispetto al 37% dei Paesi OCSE. Si rileva in ogni modo un trend positivo nell’ultimo decennio nelle scuole secondarie, con una diminuzione dal 63% al 48% nelle secondarie di primo grado (scuole medie) e dal 73% al 54% nelle secondarie di secondo grado (superiori). In merito alle funzioni attribuite ai docenti, ossia principalmente l’insegnamento, la preparazione delle lezioni, l’attribuzione dei voti e l’interazione con i genitori, il numero di ore che devono erogare in Italia corrisponde a 626 ore di insegnamento all’anno, un dato inferiore alla media OCSE di 706 ore annue.
Miriam Rossi
Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.






