Kyenge, una differenza contro le differenze

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Centinaia di commenti e “mi piace”. Cécile Kyenge Kashetu è un’attivista che usa anche i social network per raccontare le sue battaglie. Il 28 aprile, con il giuramento al Quirinale, è iniziata la sua battaglia più difficile, quella di ministra nel precario governo presieduto da Enrico Letta. Sulla sua pagina Facebook si continuano a leggere numerosi incoraggiamenti e qualche isolato commento politicamente ostile se non poco velatamente razzista. I leghisti hanno già cominciato al grido di “prima gli italiani!”: se un africano violenta una ragazza italiana, ecco che il governatore Zaia invoca le scuse della ministra, per una non ben precisata solidarietà di “razza” o di colore.

Abituata a combattere fin dalle prime esperienze nelle circoscrizioni di Modena, nel 2004, la neo-ministra si è trovata di fronte al plauso di molti ma anche allo stupore e alla freddezza di una società interculturale nei fatti ma ancora troppo poco nelle idee. Nella sua carriera Kyenge ha messo in primo piano proprio le idee, guardando alla politica come confronto concreto capace di trasformarle in decisioni, dalla promozione dei diritti di cittadinanza e alla salute per italiani e migranti nella terra modenese fino alla Rete Primo Marzo e alla campagna LasciateCIEentrare per l’apertura e abolizione dei Centri di Identificazione e Espulsione. Avevo parlato con Kyenge mentre tentavo di intrecciare le storie sfuggenti di chi era passato nei CIE, per regalarle ai lettori di Unimondo e per gettare qualche parola oltre le mura dei Centri, delle nostre case, oltre il silenzio dei governi e il vuoto dei diritti. La ho risentita a ridosso delle elezioni politiche dello scorso febbraio, candidata alla Camera per il PD. Un’intervista sincera e poco istituzionale, che racconta qualcosa della prima Ministra per l’Integrazione della Repubblica Italiana e che vale la pena, sperando sia di buon auspicio, utilizzare oggi.

Da ormai 9 anni è “salita” in politica, da dove è nato questo impegno?

Il mio impegno è nato conseguentemente al mio impegno nell’associazionismo, mosso dall’intento di dare voce ai più deboli. Un percorso nella società civile che ha rappresentato un’opportunità di crescita, tanto che in poco tempo sono passata alla politica. Ho iniziato spinta da una cara amica. È parlando con lei che è maturato in me l’entusiasmo di lavorare dapprima nel settori volontariato, cooperazione internazionale, cultura e sanità. Da qui sono passata in circoscrizione, facendo un lavoro capillare sul territorio e portando avanti, con il sostegno della società civile, molte battaglie sui temi dei diritti universali e dell’immigrazione.

Ci sono stati momenti più salienti, di svolta, di comprensione?

Direi di no, quello che ha sempre prevalso è la passione della quotidianità: ogni passaggio è stato importante nella mia formazione personale e politica e questo ha fatto sì che il mio percorso andasse sempre verso il meglio verso un accrescimento delle mie competenze.

Per cosa si è battuta di più, in che ambiti?

Mi sono impegnata soprattutto nell’immigrazione, nella cultura e nella sanità e in senso più largo nella lotta per garantire l’estensione dei diritti fondamentali di ognuno. È stato sempre centrale per me raccogliere i temi che emergevano dal confronto con la società civile; sento che fare politica è tradurre queste voci in proposte politiche capaci di cambiare le leggi, la cultura e la politica stessa.

Crede che la sua “differenza culturale” abbia condizionato il suo impegno, rendendola maggiormente sensibile a ingiustizie e discriminazioni?

A rendermi sensibile alle discriminazioni sono stati il mio vissuto personale da migrante e il mio percorso politico. Non credo che si possa parlare di differenza culturale, se mai di valore aggiunto di questa presunta differenza. Ognuno di noi porta in sé identità plurime, dunque si può parlare solo delle numerose culture meticcie che tutti ci portiamo dentro, indipendentemente dalla terra di origine, poiché l’identità personale si forma nel confronto con l’altro.

Come è nato e come si è evoluto il suo percorso all’interno del Partito Democratico, fino alla candidatura del 2013?

Il mio è stato ed è un percorso di partecipazione politica all’interno di un partito che si è battuto per la piena partecipazione dei migranti. Il Partito democratico infatti ha formato al suo interno un gruppo di lavoro, il Forum immigrazione nazionale e la mia candidatura, come quella di altri “Nuovi italiani“ è nata da questo progetto. È stata fortemente voluta dalla Presidente del Forum Livia Turco, nonché dalla nomina diretta di Bersani, oltre che dal sostegno ricevuto dal segretario regionale Stefano Bonaccini e dalla regione Emilia Romagna.

Cosa la ha convince di più nel programma del suo partito?

Si tratta di un’idea di base fondamentale: il PD sta portando avanti tutti i suoi progetti su un’idea comune che riguarda i diritti universali e solo partendo da questa base si può costruire una politica capace di portare a un vero cambiamento del paese, di creare un futuro.

Bersani ha messo al primo posto del suo programma e della sua campagna elettorale la legge per i diritti di cittadinanza dei cittadini stranieri. È veramente un punto di partenza così importante?

L’estensione della cittadinanza è un riconoscimento di fatto di ciò che è già cambiato nel paese: ci sono quasi un milione di minori figli dell’immigrazione, residenti stabilmente in Italia e di questi oltre 570.000 sono nati nel nostro paese e più di 600.000 frequentano le nostre scuole. Un esercito di “non cittadini” che rappresentano però il futuro dell’Italia e devono avere parte attiva nel processo di cambiamento del paese. Quando si parla di cittadinanza parliamo quindi anche di diritto di voto amministrativo, di diritti e doveri che, se vengono negati ad una parte della popolazione, inevitabilmente, prima o poi, verranno negati a tutti. Ci vuole perciò un’autentica “unità d’Italia” con un’inedita visione dell’immigrazione radicata nei principi della nostra Costituzione e della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.

Da dove partire per attuare questa visione? Da una nuova legge sull’immigrazione, dalla revisione di quella attuale?

Un punto fondamentale del programma del Forum immigrazione, condiviso da tutto il Pd, è la necessità di una nuova legge sull’immigrazione ed un ripensamento delle modalità d’ingresso nel paese. Dunque la naturale abrogazione della legge Bossi-Fini, del reato di clandestinità e dei CIE per dirigersi verso una nuova legge delega in materia. In generale dobbiamo passare da un approccio securitario e repressivo ad un approccio inclusivo che valorizzi appieno le competenze del migrante.

Viviamo n un momento di crisi delle imprese e dell’occupazione. Come tutelare i diritti dei lavoratori, italiani e migranti, evitando di innescare le “competizioni fra poveri” che arrivano a giustificare diffusi atteggiamenti razzisti se non un razzismo istituzionale, come avviene sempre più spesso in Grecia?

Dobbiamo in primo luogo combattere il falso stereotipo degli immigrati che vengano a rubare il lavoro: 8 milioni di contributi, 4 milioni di tasse che sono un sostegno concreto all’Inps. Eppure dati recenti della regione Emilia Romagna dicono che il salario medio dei cittadini stranieri è ancora di quasi del 25% più basso di quello italiano. Non differenzierei lavoro migrante da lavoro italiano poiché i diritti dei lavoratori sono comuni. Il problema dello stato italiano è quello di attuare riforme strutturali che diano dignità e garanzia al lavoro in modo da rafforzare tutti i settori garantendo salari adeguati. I posti di lavoro ci sono già, bisogna renderli stabili e combattere la precarietà anche con l’estensione degli ammortizzatori sociali alle categorie ora esenti e con un reddito sociale minimo.

Veniamo alla politica estera e alla cooperazione internazionale. Pensa che un cambiamento di impostazione potrebbe influire sui motivi delle partenze di molti stranieri che giungono in Italia?

C’è bisogno di una politica internazionale decentrata e di cambiare la legge 49 sulla cooperazione mettendo al centro il protagonismo del migrante. La chiave è il co-sviluppo: un movimento di mutuo scambio e trasformazione socio-economica, culturale e politica capace di legare in modo inedito e virtuoso l’integrazione alla cooperazione internazionale, sostenendo le capacità e la mobilità dei migranti. Una proposta che si basa sulla fondata convinzione che le risorse e le attività connesse ai movimenti migratori possano innescare e favorire processi di miglioramento tanto nei territori di origine quanto in quelli di destinazione.

Giacomo Zandonini

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