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Italia selvatica? No, meglio penisola del Far West!
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Foto: Pexels.com
Un anno partito non proprio benissimo per quanto concerne il rapporto con la fauna selvatica in Italia. Anzi, un anno partito all’insegna del Far West, di nome e di fatto. Perché il soprannome che si è guadagnato l’emendamento presentato dai deputati di Fratelli d’Italia in calcio d’angolo alla Legge di bilancio approvata prima di fine anno è stato proprio questo. Una liberalizzazione della caccia di selezione a non meglio identificate specie, possibile ovunque e in qualsiasi momento. Il che significa anche nelle aree urbane o nelle aree protette e anche nei periodi di divieto – senza la necessità di valutazioni scientifiche preventive.
Da un lato questo provvedimento, dall’altro il divieto imposto a un altro emendamento (proposto dall’On Brambilla del Gruppo misto) che proponeva l’inammissibilità dell’importazione e dell’esportazione di trofei di caccia di specie minacciate o a rischio di estinzione e dunque protette a livello internazionale.
Con un sol colpo di mano l’Italia ha giocato decisamente male le sue carte a favore della tutela faunistica, allertando inevitabilmente l’attenzione europea e internazionale, a partire da quella di Humane Society International, una delle più grandi organizzazioni per la protezione degli animali nel mondo, promotrice di campagne a favore della fauna selvatica, della riduzione e sostituzione degli animali nei test scientifici e di prodotto e del miglioramento delle condizioni degli animali allevati per uso e scopi umani.
Insomma, per l’Italia la categoria meglio deputata a “guardiana dell’equilibrio naturale” è quella dei cacciatori. Eppure se l’Italia è ancora una Repubblica il cui documento ispiratore e vincolante a livello normativo è la Costituzione, all’articolo 9 di questo a quanto pare per molti trascurabile “opuscolo” si dice ancora… “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali.” Senza poi contare il totale distacco di intenti e azioni rispetto non solo ai trattati internazionali per la tutela della fauna selvatica e alle norme europee in materia, ma anche a qualunque obiettivo strategico che riguardi la salvaguardia della biodiversità.
Siamo consapevoli che esistono emergenze faunistiche da affrontare e che riguardano alcune aree specifiche, come per esempio quelle ad alta densità di cinghiali o visoni. Ma il testo approvato, che si aggrappa anche in maniera superficiale al legame tra quanto stabilito e la sicurezza pubblica e stradale, apporta modifiche pericolose alla Legge 157/92 per la protezione della fauna selvatica, aprendo la possibilità di prelevare e uccidere anche specie protette dalle principali direttive della Rete Natura 2000, come la Direttiva 92/43/CEE "Habitat" e la Direttiva 2009/147/CE "Uccelli". I primi a venire in mente sono per forza di cose i grandi carnivori come orso e lupo, la cui uccisione al momento è consentita solo in circostanze limitate e per l’uccisione dei quali però, anche a fini di utilizzo ed esportazione come trofei di caccia, la strada intrapresa dal Governo apre nuove scappatoie che scavalcano piani di gestione non-letali e definiti da funzionari forestali competenti in materia a favore di un controllo demandato ai cacciatori.
Nell’ottobre scorso il Parlamento europeo, con una risoluzione sugli obiettivi strategici dell’UE per la COP19 della Cites, Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione, ha esortato la Commissione e gli Stati membri ad adottare misure efficaci e immediate “al fine di vietare l’importazione di trofei di caccia derivati da specie elencate nella Cites”. Purtroppo l’Italia non è coinvolta solo come esportatrice di trofei: come riportano i colleghi di Lifegate, tra il 2014 e il 2020 l’Italia ha importato 437 trofei provenienti da specie protette a livello internazionale come ippopotami, elefanti, leoni, leopardi, ghepardi e orsi polari, ma anche almeno un trofeo di rinoceronte nero, dichiarato in pericolo critico di estinzione.
Posizioni medievali e anche controcorrente, se dati recenti confermano che la maggioranza degli italiani è favorevole a un divieto totale del commercio di trofei di animali morti e che queste opportunità di svago sono ormai incompatibili con i valori ambientali che dovrebbero contraddistinguerci, così come dichiarato dall’Ieg (Italian exhibition group spa) che dal 2023 ha scelto di dismettere una delle manifestazioni fino ad ora più importanti della Fiera di Vicenza, dedicata al mondo venatorio.
Segnali importanti che provengono dalla società civile ma che dal Governo che dovrebbe rispecchiarne e assecondarne il volere non vengono recepite, anzi. Uno scenario grave, che mette in luce la criticità di scelte totalmente scollegate dall’urgenza di preservare un patrimonio faunistico fragile e fondamentale e al contempo la debolezza della democrazia stessa, che ignora la voce dei cittadini a favore di quella di poche ma influenti categorie e trascura non solo importanti accordi a livello globale per la tutela della biodiversità (come per es. quelli sottoscritti nelle COP) ma anche un patrimonio dal valore inestimabile che il nostro Paese – ma chissà per quanto ancora – può vantare.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.