Italia: rapporto svela i finanziamenti delle banche all'industria militare

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Anche se formalmente rispettano la legge 185 del 1990 (che ha posto rigorosi vincoli alle esportazioni di armi e alle operazioni bancarie ad esse collegate), la quasi totalità delle grandi banche italiane continua a fornire risorse economiche alle industrie che producono armamenti. E lo fanno utilizzando i risparmi di cittadini non sempre informati. E’ quanto emerge da uno studio-pilota dal titolo provvisiorio "Finanza e amarmenti: le connessioni di un mercato globale" realizzato dall’Osservatorio sul Commercio di Armi (Os.C.Ar) di IRES Toscana – Istituto di ricerche Economiche e Sociali – vincitore del bando di finanziamento della Fondazione Culturale Responsabilità Etica onlus per il 2009, che sarà presentato domani, sabato 13 marzo, a Milano nel corso della fiera Fa’ la cosa giusta!.

«La ricerca ha analizzato circa 400 fondi comuni italiani che pubblicano in rete i dati relativi ai primi 50 titoli in cui è investito il patrimonio. Incrociando questi dati con l’elenco delle prime 100 aziende produttrici di armi elaborato dal SIPRI (l’autorevole istituto di ricerca indipendente di Stoccolma) si è potuto operare una prima stima del coinvolgimento dei fondi italiani nel sostegno alle aziende che producono armi», spiega Chiara Bonaiuti coordinatrice della ricerca e direttrice dell’Osservatorio sul commercio di armi (Os.C.Ar.) di IRES Toscana.

Su 417 fondi di investimento con componenti azionarie analizzate, ben 288, presentano azioni (tra i primi 50 titoli) di aziende a produzione militare (le prime 100 per fatturato militare a livello mondiale). Questo significa che se un investitore si rivolge alla sua banca e chiede genericamente di investire in un fondo comune con componente azionaria ha il 69% di probabilità di acquistare titoli di aziende a produzione militare. «Considerando solo l’italiana Finmeccanica (che si colloca all’8° posto tra le prime 100 aziende produttrici di grandi sistemi d’arma nel mondo), emerge che 85 fondi italiani hanno titoli di Finmeccanica in portafoglio per un totale di quasi 5 miliardi di euro», sottolineano Mauro Meggiolaro e Paolo Bonaiuti che hanno curato la parte sui fondi di investimento.

Dalla ricerca si apprende che naturalmente i più coinvolti sono i gruppi bancari più grandi, ma anche quelli che non hanno policies o codici di responsabilità nel settore degli armamenti. Questi ultimi presentano anche maggiori probabilità di investimenti in azioni di aziende che producono armi inumane come le mine antipersona o le munizioni cluster che colpiscono purtroppo soprattutto la popolazione civile, anche in tempo di pace, o armi di distruzione di massa, censite anch’esse dall’Ires in collaborazione con il SIPRI.

La ricerca contempla poi le forme di sostegno più diretto alle esportazioni di armamenti: dalle operazioni di incasso di pagamenti per il commercio di armi all’apertura di linee di credito fino alla concessione di finanziamenti all’esportazione militare italiana, con particolare attenzione a destinatari controversi.

«E’ stato un sicuramente un importante risultato delle pressioni della società civile, in modo particolare della Campagna “banche armate”, l’aver portato i principali gruppi bancari italiani ad assumere una maggior responsabilità in merito al ruolo da loro svolto nell’esportazione di armamenti e a definire di conseguenza direttive più restrittive in materia – commenta Giorgio Beretta collaboratore di Os.C.Ar. che ha svolto una dettagliata analisi sulle operazioni d'appoggio all'export di armi svolte dalle banche nell’ultimo decennio. «Ma a fronte di una generale maggior trasparenza da parte delle banche va segnalato che da due anni la Presidenza del Consiglio ha deciso di non pubblicare la sezione della Relazione annuale (richiesta dalla Legge 185/90) che riportava le singole operazioni autorizzate e svolte dagli Istituti di credito, sottraendo così la possibilità di verifica sull’effettiva attuazione delle direttive emanate dalle banche».

Infine, lo studio analizza le policies sul tema dell’export e della produzione di armamenti con la prassi effettiva, quale emerge dal campione di dati raccolti sui fondi di investimento e sulle esportazioni, al fine di valutare il grado di trasparenza e di coerenza tra quanto dichiarato e quanto effettivamente realizzato. Una disamina delle policies bancarie mostra esempi anche molto articolati, di cui alcuni aspetti potrebbero essere proposti nel contesto europeo, per l’estensione sia alle operazioni di esportazione che alla produzione, sia all’istituto che alle proprie imprese di gestione del risparmio. Dall’analisi emerge però che non sempre tali policies sono state rispettate.

«L’obiettivo della ricerca del nostro Osservatorio - conclude la direttrice Chiara Bonaiuti - è perciò quello di offrire uno strumento articolato e trasparente che permetta a vari soggetti, dalla società civile, agli operatori bancari, ai soggetti istituzionali nazionali, europei ed internazionali, agli operatori industriali di operare scelte responsabili in un campo delicato quale quello degli armamenti».

All'incontro-dibattito di presentazione dello studio-pilota "Finanza e armamenti: le connessioni di un mercato globale" che si terrà domani alla Fiera Fa’ la cosa giusta!(Fiera di Milano) presso la Sala America (ore: 11-13) interverrano Chiara Bonaiuti (direttrice dell'Osservatorio sul Commercio delle armi - Os.C.Ar - di IRES Toscana), Franco Bortolotti (IRES Toscana), Giorgio Beretta (collaboratore di Os.C.Ar.), Mauro Meggiolaro (Merian Research), Andrea Baranes (Campagna per la Riforma della Banca mondiale) e Francesco Vignarca (Rete Italiana Disarmo). Il dibattito sarà introdotto e coordinato dal direttore della rivista “Valori”, Andrea Di Stefano. [GB]

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