Iraq: l'ospedale italiano che fa discutere

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La struttura mobile sanitaria che la Croce Rossa italiana e la Farnesina hanno impiantato a Bagdad, più che un ospedale da campo sembra un campo di battaglia. Dove la prima vittima da curare è l'immagine del nostro Paese.

Il field hospital, che ha sollevato un mare di perplessità tra tecnici ed esperti sanitari, volontari che operano nel Paese e anche tra qualche parlamentare, non piaceva sin dall'inizio nemmeno agli americani. E continua a non piacere al Comitato internazionale della Croce rossa, il referente istituzionale di un movimento attivo in 178 paesi. Che, in questo momento, annovera la sezione italiana tra le pecore nere.

Gli strali li ha tirati direttamente Jakob Kellenberger, presidente dal 2000 del Cicr al nostro rappresentante diplomatico a Ginevra incaricato dei rapporti con gli organismi internazionali. Kellenberger è uomo che sa pesare le parole e che conosce bene la diplomazia, visto che è stato ministro degli Esteri della Svizzera. Ma questa volta è stato duro. Come riferiscono fonti diplomatiche da Ginevra, ha detto che la Croce rossa italiana sarebbe "venuta meno alle regole del Movimento", limitandosi a informare il Cicr ma bypassandone il coordinamento, obbligatorio in caso di conflitto armato. Un'accusa che ha fatto dire a Kellenberger che la Cri si sarebbe addirittura posta fuori del quadro delle operazioni del Movimento, che dunque ora declinerebbe "ogni responsabilità sugli esiti" dell'operazione.

Le perplessità di Kellenberg sulla scelta dell'ospedale da campo, ribadite per altro pubblicamente a un quotidiano da un suo delegato in Iraq, non riguardano tanto l'inutilità della struttura in una città che pullula di nosocomi. Il presidente se l'è presa con la "scorta armata" che il ministro Franco Frattini ha voluto per proteggere l'ospedale. Una scelta "non conforme" ai principi del Movimento e suscettibile di creare problemi, non solo alla Cri, ma allo stesso Cicr e alle altre società nazionali, perché ne metterebbe in discussione "indipendenza, imparzialità e autonomia". Sempre stando al resoconto diplomatico, Kellenberger avrebbe persino consigliato di eliminare i riferimenti Croce rossa dall'ospedale, fino a che la scorta armata sia presente. Per evitare, a quanto sembra, spiacevoli confusioni con un Movimento che porta, tra le sue insegne, una sbarra rossa tracciata su un fucile.

La risposta da Roma non si è fatta attendere. La Farnesina ha dato istruzioni ai suoi diplomatici a Ginevra su come rispondere alle argomentazioni del presidente, definite "offensive e lesive della sovranità nazionale" pur se non rivolte direttamente al nostro governo. La scelta dell'ospedale, inoltre, "corrisponde a una precisa richiesta dell'amministrazione americana" e l'operazione con il simbolo della croce rossa andrebbe dunque considerata "motivo d'orgoglio e non di rancorosa deprecazione". Argomenti che, sempre secondo la Farnesina, i nostri diplomatici a Ginevra dovrebbero far presente al Cicr anche quando si metterà a punto la visita in luglio di Kellenberger in Italia. Che, si dice, vorrebbe incontrare Ciampi.
Non piace neanche a Washington.
In realtà la scelta non corrisponde affatto alle richieste americane. Andrew Natsios, amministratore di Usaid, l'agenzia americana per la cooperazione, avrebbe infatti chiesto "chiarimenti" sull'ospedale da campo al nostro ambasciatore Sergio Vento. Esprimendo scetticismo sulla scelta, perché la popolazione locale tenderebbe a privilegiare l'ospedale italiano rispetto alle strutture nazionali. Il che non sarebbe proprio il caso visto che, dice Natsios, vi è un "alto livello di quadri intermedi" locali.

Insomma la cosa non va. E quel che brucia è che la lezione di buona cooperazione viene proprio dagli americani e da un'agenzia universalmente considerata piuttosto parziale e unilaterale. Davvero un colpo basso per la Farnesina. Per i diplomatici. Ma anche per una nostra consolidata tradizione di intervento sanitario all'estero, divenuta molto attenta a priorità e necessità dopo gli anni bui di tangentopoli. Ma c'è di più.
Non è infatti solo da Washington che arriva la reprimenda. A Bagdad, la nostra diplomazia scopre che l'Ohra, l'ufficio civile impiantato dagli Usa per amministrare il dopo Saddam, non è molto informato sulla vicenda ospedale. Non è però contraria per principio, a patto che gli iracheni approvino. Ma quando Stephen Browning dell'Ohra si incontra con Ali Abbas, ex direttore generale della sanità irachena, il punto di vista locale salta fuori: Abbas, riferiscono a Roma i nostri diplomatici in loco, si esprime molto negativamente sugli ospedali da campo che "mal si integrerebbero con le strutture esistenti".

Nonostante la perplessità e lo scetticismo regnino ormai sovrani, la Farnesina va avanti. Del resto Frattini ha già firmato, tra il 23 e il 24 aprile, ben due autorizzazioni per 11 milioni di euro che, attraverso procedura d'emergenza, dovrebbero coprire i costi dell'ospedale. E a metà aprile, il ministro ha anche già incassato il si del Parlamento alla scorta umanitaria. Il 10 maggio, nonostante debbano essergli ben note le perplessità riferite da Washington, Ginevra e Bagdad, ribadisce che "il compito dell'Italia è portare la nostra bandiera, quella dei nostri soldati e carabinieri, per dare aiuto alle popolazioni" irachene. Il ministro sventola il "biglietto da visita" che l'Italia, "prima tra i Paesi europei", ha portato a Bagdad: "un ospedale da campo".

Fonte: Lettera 22

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