In Turchia i curdi depongono le armi?

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Foto: Unsplash.com

di Alessandro De Pascale e Antonio Michele Storto

Il 12 maggio, nel nord dell’Iraq, si è tenuto il 12° Congresso straordinario del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), l’organizzazione separatista curda di ispirazione marxista-leninista, considerata terrorista da Stati Uniti, Unione Europea e Turchia, fondata nel 1978 da Abdullah Öcalan. Come da lui richiesto lo scorso 27 febbraio, i 232 delegati hanno deciso di “sciogliere la struttura organizzativa del PKK e porre fine al suo metodo di lotta armata, a condizione che il processo pratico sia guidato e gestito dal leader Apo, ponendo così fine alle attività svolte sotto il nome del PKK”. A quanto è dato sapere l’organizzazione consegnerà il proprio arsenale in alcune aree del Kurdistan iracheno, regione dove da tempo il Partito dei Lavoratori del Kurdistan ha spostato il suo quartier generale e in base ad un accordo per la tregua (durato dal 2013 al 2015) la maggior parte dei militanti si erano trasferiti. In Turchia circa il 20% della popolazione è curda.

Ma per quanto auspicabile sia la definitiva pacificazione di un conflitto che dal 1984 (anno di inizio dell’offensiva paramilitare lanciata dal braccio armato del PKK) è costato la vita ad oltre 40mila persone (tra le quali si contano almeno 6.000 vittime civili), l’esito dell’iniziativa sul lungo termine è tutt’altro che certo. “Non è una fine, ma un nuovo inizio”, ha promesso Duran Kalkan, membro del Consiglio esecutivo dell’Unione delle comunità del Kurdistan (KCK) e, assieme a Cemil Bayik, l’unico dei 232 delegati ad aver partecipato a suo tempo anche al congresso di fondazione dell’organizzazione. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha definito lo scioglimento del PKK come “una decisione importante” per la pace, anche a livello regionale. Ad avviare le trattative era stato il Partito del Movimento Nazionalista (MHP), una formazione di estrema destra alleata di Erdogan in Parlamento, il cui leader Devlet Bahceli aveva chiesto in autunno a Öcalan di sciogliere il PKK, in cambio di concessioni sul suo isolamento carcerario.

Già a partire dal 1993, anno in cui tanto la dirigenza del PKK quanto le autorità turche iniziarono a rendersi conto che difficilmente il conflitto avrebbe potuto risolversi con la netta vittoria di una delle parti in causa, la sigla guerrigliera si era impegnata in almeno altre quattro occasioni a cessare le ostilità. Annunciata da Öcalan alla vigilia del newroz (il capodanno persiano, trasversalmente festeggiato dai curdi di ogni provenienza e confessione) del 1993, con la benedizione del leader curdo nonché futuro presidente iracheno Jalal Talabani, la prima di queste iniziative fu inizialmente accolta con diffidente freddezza dal governo turco...

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