Imprese e diritti umani: il caso delle aziende che vendono cellulari in Italia

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Foto: Pathum Danthanarayana da Unsplash.com

Quando si parla di imprese e diritti umani il caso della telefonia è “da manuale”: nel settore tecnologico, infatti, si aggrovigliano violazioni dei diritti dei lavoratori e dei diritti umani in genere, devastazione dell’ambiente e mancanza di trasparenzacome in pochi altri casi.

A questa conclusione era arrivato l’ultimo rapporto di Amnesty International sui diritti umani (leggi anche Diritti umani nel mondo: ipocrisia e violazioni nel rapporto di Amnesty), che dedicava ampio spazio al settore della tecnologia.

Una situazione che è ampiamente confermata dai ricercatori di Equa, l’applicazione sul consumo critico che sta sviluppando Osservatorio Diritti e che ha scelto di cominciare le proprie valutazioni proprio dai cellulari. Una mole corposa di analisi che, almeno in forma sintetica, abbiamo deciso di condividere in occasione della Giornata mondiale dei diritti umani del 10 dicembre, in cui, a distanza di 75 anni, si ricorda la proclamazione della Dichiarazione universale dei diritti umani da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a Parigi del 1948.

Imprese e diritti umani: la filiera opaca dei cellulari

Data la complessità tecnologica necessaria per realizzare un cellulare, la più grande fetta del mercato degli smartphone è in mano a poche multinazionali, come Apple, Samsung e Hauwei. A questi nomi più conosciuti, negli ultimi anni si sta accostando una galassia di altri brand meno conosciuti, spesso di produzione cinese, sempre più popolari anche in Italia.

La nostra analisi ha constatato che molti di loro operano con preoccupante opacità. I casi più eclatanti sono quelli dei marchi Oppo, Redmi, OnePlus e Vivo, molto diffusi nel mercato italiano, dietro cui c’è il grande conglomerato cinese BBK Electronics.

Da una parte, l’azienda pubblica pochissime informazioni sul proprio operato, dall’altra i diversi  rapporti di sostenibilità forniti dalle aziende controllate differiscono molto tra loro e sono estremamente parziali, rendendo difficile valutare la condotta dell’azienda in materia di rispetto dei diritti umani, dei lavoratori e dell’impatto ambientale.

Così, mentre l’attenzione della stampa si concentra sulle multinazionali più conosciute, realtà più piccole agiscono senza che nessuno possa controllare con dati pubblici la presenza o meno di eventuali violazioni.

Relazioni pericolose: aziende operative nei regimi oppressivi

Secondo quanto denunciato da varie fonti, molti tra i più grandi produttori globali di telefonia mettono la tecnologia che producono al servizio di regimi oppressivi per azioni di sorveglianza e controllo. È il caso, per esempio, di Huawei (come denunciato, tra gli altri, da The China Project) e ZTE, i due produttori di telefoni vicini al Partito comunista cinese, che, stando a quanto denunciato, collaborano alle violazioni perpetrate ai danni della minoranza degli Uiguri in Xinjiang attraverso sistemi di controllo dei centri di detenzione, localizzazione degli oppositori politici e sorveglianza...

Segue su Osservatoriodiritti.it

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