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Il valore dei corpi in ostaggio
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Foto: Martha Dominguez de Gouveia da Unsplash.com
Siamo, forse, al di là dell’immaginario da film dell’orrore. Eppure, il sequestro – da due anni – del corpo senza vita della mamma di Franciska Wanjiru da parte del Nairobi Women’s Hospital, perché la famiglia non può pagare le spese ospedaliere, è la rappresentazione plastica di come il profitto riesca a farsi carne, a ucciderci, e poi a impadronirsi anche del corpo senza vita. Più necropolitica ed espropriazione della vita – e di ogni suo simulacro – ai fini dell’accumulazione di denaro di così, ci pare francamente impossibile. Sia chiaro: non si tratta affatto di un caso isolato, e nemmeno di una “specificità” africana, come spiega magistralmente Nicoletta Dentico in questo articolo, a commento dei nuovi studi di Oxfam che fotografano gli effetti perversi della finanziarizzazione della salute nel Sud del mondo. I protagonisti di queste storie, racconta, sono personaggi del calibro di Arif Naqvi, il fondatore del Gruppo Abraaj che ha convinto le istituzioni finanziarie e l’Onu a indirizzare miliardi di soldi pubblici per incentivare i finanziamenti privati. Il tutto, ma guarda un po’, per la realizzazione dell’Agenda 2030, quella che impazza nei progetti della Ue e nelle ricerche interdisciplinari dei nostri figli a scuola. Semplice il mantra di Navqi: finanziando fondi di azionariato privato come Abraaj, il capitalismo agisce da leva per arricchire gli investitori e intanto «porre fine alle sofferenze dei poveri». La favola s’è incagliata nel 2018, quando il gruppo è stato coinvolto in una delle più grandi frodi della storia, con centinaia di milioni di dollari fatti sparire dal Global Health Market Fund, finanziato anche da Bill Gates. Dice: ma a noi che ce ne frega? Si sa che la povertà di quei mondi, lontani, genera da sempre barbarie. Mica possiamo farci carico degli orrori di tutto il pianeta, abbiamo già sotto gli occhi le loro piaghe, con tutti quei barconi… Neanche per sogno, perché gli ospedali privati raccontati da Oxfam sono foraggiati dalle istituzioni finanziarie europee per la cooperazione allo sviluppo, ma anche dalla Banca Europea per gli Investimenti e la International Finance Corporation, il braccio privato della Banca Mondiale. Il 56% degli investimenti europei è destinato a ospedali privati e a una miriade di provider (privati) che operano tramite intermediari finanziari del comparto sanitario. Le operazioni, in crescita dopo la pandemia, si articolano in una invisibile trama di intermediari finanziari, perlopiù fondi di azionariato privato. Impenetrabili. Hanno sede nei paradisi fiscali – l’80% dei 140 intermediari intercettati da Oxfam sono domiciliati alle Mauritius e alle Isole Cayman. Per i suoi traffici, il capitalismo che estrae valore da ogni forma di vita (e ormai non solo), non usa mica gli scafisti, lavora a una scala diversa...
«È terribile vederla così, il suo corpo è trasformato. Non sembra più nemmeno un corpo, ma un ammasso di pietra». Franciska Wanjiru parla della salma di sua madre, trattenuta da due anni presso il Nairobi Women’s Hospital, in Kenya, per il mancato pagamento delle spese ospedaliere. «Imploriamo l’ospedale di restituirci il corpo, almeno come regalo di Natale. Non saremo mai in grado di saldare quel conto, non ha senso che si tengano il cadavere».
Quella di Franciska è solo una delle storie che sgorgano, con rara potenza di denuncia, dalle pagine del rapporto gemellare Sick Development e First, do no Harm. Un lavoro che è frutto di una complessa e coraggiosa ricerca dell’organizzazione umanitaria Oxfam sulla finanziarizzazione della salute che comprende un volo radente sul mondo e un approfondimento specifico sull’India.
Pazienti detenuti negli ospedali come forma di intimidazione
Il debito di Franciska equivale a 43mila dollari. Aumenta ogni giorno, man mano che la detenzione in morte di sua madre continua. La notizia della detenzione dei pazienti e delle salme come forma di intimidazione e di estrazione finanziaria ha attirato l’attenzione della stampa kenyana sin dal 2016. Ma le cattive abitudini sono dure da estirpare. Nel 2017 una donna si è vista trattenere il figlio appena partorito per oltre tre mesi, per l’impossibilità di pagare i 3mila dollari richiesti.
A nulla è servito il pronunciamento di un tribunale contro l’ospedale per violazione della Costituzione. Nel marzo 2021, la Corte Suprema ha imposto al Nairobi Women’s Hospital un risarcimento di oltre 27mila dollari a favore di Emmah Muthoni Njeri, illegalmente detenuta per oltre cinque mesi. Non si contano le ritorsioni contro il personale sanitario per aver affrettato le dimissioni, le pressioni sui medici per richiedere nuove diagnosi, il consiglio di interventi chirurgici inutili. Tutto documentato nel rapporto, inclusa la paura dei familiari che temono ritorsioni sui loro cari.
Dal Kenya all’India, il problema è sistematico
Sia chiaro. Il Nairobi Women’s Hospital non è una mela marcia. E il problema non riguarda solo il Kenya. In molti paesi del sud del mondo, gli ospedali privati sfruttano i bisogni di comunità spesso prive di strutture sanitarie pubbliche. E abusano sistematicamente dei pazienti. Imprigionandoli se non pagano il conto, negando loro il pronto soccorso se sono poveri, strattonandoli finanziariamente con tariffe improponibili anche quando spetterebbero loro cure gratuite. Sospingendoli in un abisso di dolore e impoverimento di cui vengono investiti familiari e amici, e da cui è praticamente impossibile riscattarsi.
Non guardano in faccia a nessuno. In India due ospedali convenzionati, rispettivamente negli stati di Chhattisgarh e Odisha, hanno rifiutato cure gratuite a titolari di assicurazioni governative e altre esenzioni. Costringendo le famiglie di questi pazienti a «conseguenze finanziarie catastrofiche». Oxfam racconta dettagli raccapriccianti: medicinali messi in conto al prezzo gonfiato del 50%, cateteri monouso riutilizzati e addebitati più volte, casi da medicina d’urgenza rifiutati per insufficienza finanziaria (in India vige l’obbligo di cure d’emergenza per gli incapienti).
Neppure il Covid-19 è servito per immunizzare questi avvoltoi. Quale migliore occasione della pandemia, dopo tutto? Hanno volteggiato sulla paura e sui sintomi dei pazienti senza farsi scrupoli. In Uganda, il Nakasero Hospital di Kampala faceva pagare un letto in terapia intensiva l’equivalente di 1.900 dollari al giorno. Al TMR Hospital, i familiari di un paziente poi deceduto a causa del virus si sono ritrovati l’esorbitante cifra di 116mila dollari da pagare...