Il lungo cammino dell’Uzbekistan verso la libertà religiosa

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Continua la politica dell’“amnistia” delle autorità uzbeke: dopo il rilascio di giornalisti e attivisti, sono stati liberati ulteriori detenuti, da anni in prigione per motivi religiosi. Tuttavia, molti altri restano in custodia per le stesse ragioni e non si fermano i processi contro chi manifesta la propria fede. A denunciarlo è l’agenzia con base a Oslo, Forum18 (F18). Le sorelle Zulhumor e Mehrinisso Hamdamova sono state liberate il 20 febbraio, dopo otto anni in carcere per aver partecipato a incontri religiosi non autorizzati. Il mese successivo, è stato rilasciato Zuboyd Mirzorakhimov, un cittadino tajiko arrestato con l’accusa di avere materiale islamico sul proprio cellulare, in carcere da ormai cinque anni.

Tuttavia, altre prigioniere di coscienza sono tuttora detenute nello stesso campo di lavoro forzato in cui erano trattenute le sorelle Hamdamova, vicino a Tashkent. Si conoscono i nomi di due di esse: Farida Sobirova e Mastura Latipova. A quanto riporta F18,  Lapitova è in carcere dal 2009 per aver insegnato la propria religione e non è chiaro se Sobirova, in prigione con le medesime motivazioni, sia stata rilasciata o sia ancora in stato di arresto. Le detenzioni arbitrarie e l’utilizzo di prove ottenute attraverso la tortura rende difficile la piena conoscenza di quanti si trovano al presente in carcere per effettivi crimini o esclusivamente per via della loro fede. Secondo l’Onu la cifra potrebbe essere fra i 5mila e 15mila. “L’unica ragione per simili arresti – scrive F18 – è che un alto funzionario ha ordinato che venissero arrestati senza dire perché”.

Da quando è salito in carica nel dicembre del 2016, il presidente Shavkat Mirziyoyev cerca di riformare il Paese e contrastare il potere dei servizi segreti. Oggi il ministro agli Interni Pulat Bobozhonov ha annunciato l’installazione di più di 2mila telecamere in diverse strutture di detenzione: un investimento di più di 520mila euro mirante a contrastare l’uso della tortura e delle pressioni psicologiche e fisiche sui cittadini nei carceri e durante gli interrogatori.

Tuttavia le riforme faticano ad essere efficaci, come sottolineato da Ahmed Shaheed, Special Rapporteur dell’Onu per la libertà religiosa, che nel suo rapporto del 2 marzo ha sostenuto che in Uzbekistan il diritto ad esercitare la propria fede è ancora ostacolato. Il 13 aprile è iniziato il processo di Gayrat Ziyakhojayev, accusato di distribuzione di materiale “estremista” dopo aver pubblicato in modo legale un libro islamico. Egli rischia una pena fino a otto anni di prigione. Il 26 marzo, una Corte nella regione del Fergana ha condannato Musajon Bobojonov, studioso islamico, a una pena sospesa di tre anni di carcere con la medesima accusa.

Da Asianews.it

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