Il futuro della biodiversità agricola

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Foto: Unsplash.com

Si è conclusa nei giorni scorsi la prima parte del vertice internazionale della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD), la cosiddetta COP15. L’appuntamento, che ha visto il confronto tra 195 paesi, è fondamentale per condividere un sistema di regole e obiettivi che permetta di arrestare la perdita drammatica di biodiversità nel mondo.

Sebbene meno conosciuta della COP sul clima, la COP sulla biodiversità ha un’importanza almeno identica. Oggi infatti tre quarti dell’ambiente terrestre e circa il 66% dell’ambiente marino sono stati significativamente modificati dalle azioni umane, fatto che ha determinato un crollo del numero di specie animali e vegetali, così come un crollo della biodiversità coltivata.

Per porre rimedio a questa situazione, si stima che ogni anno saranno necessari più di 700 miliardi di dollari. Ma il punto è: dove andranno questi fondi? La preoccupazione dei movimenti sociali e di alcune ONG come Crocevia, è che verranno destinati a false soluzioni, aumentando la privatizzazione delle aree naturali ancora integre, cacciando le popolazioni indigene e le comunità locali dai luoghi che hanno accudito per decenni, utilizzando i “servizi ecosistemici” per farne moneta di scambio su mercati del carbonio dedicati.

Ciò che davvero sarebbe necessario, invece, è una inversione a U dal modello dell’agricoltura industriale, primo fattore di distruzione dell’ambiente e di riduzione della biodiversità. Ecco perché Crocevia segue e partecipa ai negoziati della Convenzione sulla Biodiversità in supporto alle reti e ai movimenti di piccoli produttori e Popoli Indigeni. 

Vogliamo che il prossimo pacchetto di regole che i governi riuniti nella CBD concorderanno comprenda il riconoscimento dell’agroecologia contadina e del modo di vita indigeno come pratiche capaci di invertire la perdita di biodiversità, garantirne la vera conservazione dinamica e l’evoluzione.

L’importanza della biodiversità agricola

La biodiversità agricola sta scomparendo rapidamente, a causa del supporto incondizionato da parte della governance globale all’agricoltura intensiva: l’agricoltura e l’acquacoltura ormai ridotte a industrie appiattiscono la biodiversità agricola, creando un mondo di sementi, alberi, razze e specie acquatiche omogenei e spesso modificati geneticamente per includere tratti limitati, che sono utili al mercato ma non all’equilibrio degli ecosistemi. Si vengono a creare così agroecosistemi semplificati e pesantemente contaminati con biocidi e altri prodotti agrochimici...

L'articolo di Stefano Mori segue su Comune-info.net

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