Il diritto-dovere alle riparazioni per lo schiavismo (e il colonialismo)

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18 milioni di sterline (poco più di 21 milioni di euro) è quanto il Regno Unito dovrebbe risarcire per il suo ruolo nel traffico di schiavi dal continente africano a quello americano. 

La quantificazione viene dal giudice giamaicano Patrick Robinson, membro della Corte Internazionale di Giustizia, che nell’estate 2023 ha stilato un “Rapporto sulle riparazioni per la schiavitù transatlantica nelle Americhe e nei Caraibi”. Nel 2021 un vertice internazionale co-sponsorizzato dall’International Symposium on the Lawfulness (ASIL) e dalla University of the West Indies (UWI) aveva concluso che una richiesta di risarcimento risultasse illegale in base alla legge applicabile all’epoca. Questo esito non aveva impedito l’organizzazione di un nuovo summit che aveva invece dichiarato che la tratta era illegale perché in primis violava la legge dei Paesi africani in cui aveva luogo la riduzione in schiavitù e, in secondo luogo, perché era una pratica contraria al rispetto della dignità di ogni essere umano. Questo principio era stato riconosciuto dal Trattato di Gand del 1814 tra Gran Bretagna e Stati Uniti, entrambi Stati schiavisti, “in quanto inconciliabile con i principi di umanità e giustizia” (articolo 10) e nella Dichiarazione di Vienna del 1815, adottata da otto Stati europei, tra cui Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti, che giudicò la schiavitù “ripugnante a tutti i principi di umanità e morale universale”.

Scrive il giudice Robinson nel Report: “Quando si parla di risarcimento per la schiavitù transatlantica si intende il risarcimento per il processo di riduzione in schiavitù degli africani che comprendeva le seguenti fasi: la cattura e la vendita degli africani in Africa; il viaggio forzato verso le prigioni degli schiavi sulla costa e verso le navi nei porti; l'internamento nelle prigioni e nelle navi degli schiavi; il famigerato Passaggio di Mezzo, nonché il traffico tra il Brasile e l'Africa; la vendita nelle Americhe e nei Caraibi; il lavoro forzato e non retribuito nelle piantagioni.” Una lista che identifica gli schiavi come beni, di cui si gestisce la proprietà (la vendita/il possesso), più che come esseri umani. Un bene che, proprio per questa ragione, può essere in qualche modo risarcito.

Furono circa 12 milioni e mezzo gli africani ridotti in schiavitù e venduti come schiavi nelle Americhe tra il XV e il XIX secolo: solo nel 1807 il Parlamento britannico decretò l’abolizione della tratta degli schiavi e nel 1833 il lavoro in condizioni di schiavitù nelle colonie. “Tra il 1562 e gli anni ’30 del Settecento, la Gran Bretagna era il Paese che gestiva il più grande traffico di schiavi al mondo”. Come ricordato dalla stessa pagina web del Parlamento britannico, fu un’attività ben lucrativa che vedeva Londra al centro del sistema finanziario, con i porti della stessa capitale, di Liverpool e di Bristol, ma anche di Glasgow e Lancaster, che dominavano il traffico. Se si è concordi sul considerarla una pagina tragica della storia mondiale, difformi sono invece le opinioni sulle richieste di riparazioni che iniziano a essere sollevate.

Ambito privilegiato di discussione è senz’altro il Commonwealth, l’organizzazione intergovernativa che riunisce 56 Paesi, quasi tutti accomunati dall’essere stati parte dell’Impero britannico. Nel 27° summit del Commonwealth tenutosi a Samoa, nel sud est del Pacifico, il 25 e 26 ottobre scorsi, nonostante l’opposizione ripetuta e aperta del Regno Unito, è stata riconosciuta la richiesta di attivare una discussione sulla giustizia riparativa per la tratta transatlantica degli schiavi (punto 22 della Dichiarazione finale). 

Al riguardo, se Re Carlo III, presente al Vertice, ha dichiarato che “nessuno di noi può cambiare il passato” ma si deve imparare da quanto successo per “correggere le disuguaglianze che perdurano”, quindi spostando lo sguardo sul futuro più che sul passato, il Primo ministro britannico Keir Starmer ha confermato che le riparazioni non costituivano un punto all’ordine del giorno quindi non esprimendosi sulla legittimità della richiesta di risarcimento. A migliaia di chilometri di distanza David Lammy, il Segretario di Stato per gli affari esteri, il Commonwealth e lo sviluppo, ha commentato l’istanza proveniente dal summit respingendo a chiare lettere ogni spiraglio di riparazione economica.

Si è ancora molto lontani dal decretare la concessione di risarcimenti a tante cifre (con interessi) calcolati dallo stesso Rapporto 2023 del giudice Robinson ma la nomina alla segreteria generale del Commonwealth di Shirley Ayorkor Botchwey, ministra degli Esteri ghanese dal 2017 e decisa sostenitrice del dovere di riparazione dello schiavismo e del colonialismo, indica la direzione verso cui tende la maggior parte degli Stati membri del Commonwealth. 

Le richieste si estendono oltre il Commonwealth. L’Unione Africana, che comprende anche le ex colonie francesi, spagnole e portoghesi, ha unito le forze con la Comunità dei Caraibi (Caricom) per fare pressione sulle nazioni europee ex proprietarie di schiavi affinché si impegnino in un programma di giustizia riparatoria. Non ci sarebbe, infatti, solo la Gran Bretagna chiamata a pagare per il suo passato coloniale ma anche Francia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Stati Uniti.

Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.

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