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Il coronavirus minaccia la libertà di stampa
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Foto: Pixabay.com
Il ruolo del giornalista è di indagare e raccontare la realtà, anche mettendo in discussione, laddove necessario, l’autorità. Un ruolo che spesso viene ostacolato, in molte aree del mondo e a volte anche nelle democrazie consolidate; la pandemia da covid-19 sta mettendo in luce, e ampliando, le crisi che minacciano la libertà di stampa.
La One Free Press Coalition, di cui fanno parte 40 organizzazioni, conferma questa tendenza: l’ente pubblica periodicamente una lista di 10 giornalisti in pericolo e, fra questi, vi rientrano alcuni giornalisti che corrono dei rischi per aver dato notizie relative al coronavirus.
Inoltre, secondo l’Ifj – Federazione Internazionale dei Giornalisti, tre giornalisti su quattro hanno affrontato restrizioni o intimidazioni per la diffusione di notizie relative alla pandemia: questo è il dato più importante che emerge dall’analisi “Press Freedom and covid-19”, condotta dalla federazione su oltre 1.300 giornalisti in 77 paesi. Nell’analisi emerge che quasi un giornalista su quattro dichiara di avere difficoltà ad accedere ad informazioni da fonti governative o da altre fonti ufficiali; molti reporter denunciano di esser stati attaccati verbalmente dai politici e altri lamentano restrizioni nella possibilità di porre domande alle conferenze stampa, ma anche restrizioni di movimento, incluso il ritiro del tesserino. Molti dei giornalisti intervistati hanno espresso preoccupazioni per il fatto che il focus totalizzante sul covid-19 comporta che altre importanti questioni di attualità siano completamente ignorate.
Queste preoccupazioni sono sottolineate anche dall’Indice sulla liberà di stampa redatto dall’organizzazione internazionale Reporter senza Frontiere che ha identificato una relazione tra la limitazione della libertà di stampa e la risposta alla pandemia di coronavirus.
Il documento contiene la classifica mondiale delle nazioni più virtuose dal punto di vista dell’informazione e Christophe Deloire, segretario generale di Reporter senza Frontiere, lo ha commentato con queste parole: «Stiamo entrando in un decennio decisivo per il giornalismo. Anche a causa della crisi del coronavirus». Il rapporto analizza alcune dinamiche in corso, esacerbate dalla pandemia.
Si identifica una crisi geopolitica, causata dall’aggressività dei regimi autoritari: l’Indice riporta come la Cina (al 177˚posto su 180 paesi) e l’Iran (173˚posto) abbiano ampiamente censurato le notizie sul coronavirus. In Iraq (162˚posto), le autorità hanno ritirato la licenza all’agenzia stampa Reuters per 3 mesi, dopo che questa aveva pubblicato un servizio che metteva in dubbio i dati sul coronavirus diffusi dal governo. In Europa, il primo ministro dell’Ungheria Victor Orban ha approvato la “legge coronavirus” con multe e più di 5 anni di prigione per falsa informazione, una misura che viene definita “sproporzionata e coercitiva”. Il presidente indiano Narendra Modi ha invece chiesto a 20 proprietari ed editori dei media del paese di dare un tono positivo alle notizie relative al covid-19, mettendo in evidenza le azioni del governo e minimizzando le critiche.
Un’altra sfida per la libertà di stampa è rappresentata, secondo il rapporto di Reporter senza Frontiere, dall’assenza di un’appropriata regolamentazione della comunicazione digitale, dove “propaganda, rumors e giornalismo sono in diretta competizione” e la confusione tra questi contenuti destabilizza una corretta informazione. Inoltre tale situazione, si legge sul rapporto, “incoraggia l’adozione di leggi che, con il pretesto di limitare le fake news, colpiscono la funzione critica e indipendente del giornalismo”.
L’analisi identifica anche una crisi di democrazia in cui si riflette una “crescente ostilità verso i giornalisti”, dinamica in corso da tempo e che la situazione scaturita dalla pandemia sta peggiorando. Il rapporto cita i casi degli USA (45˚posto in classifica) e del Brasile (posizione 107) dove i presidenti Donald Trump e Jair Bolsonaro “continuano a denigrare i media”. Bolsonaro ad esempio attacca i media dall’inizio della pandemia accusandoli di fomentare isteria e panico.
Una dinamica altrettanto preoccupante è la crescente sfiducia nei confronti dei media. Secondo i dati diffusi a gennaio 2020 dall’Edelman Trust Barometer, che studia la fiducia nelle istituzioni, il 57% delle persone intervistate pensa che i media non diffondano notizie affidabili.
Altro fenomeno, rilevato dall’Indice sulla libertà di stampa di Reporter senza Frontiere, è la crescita di gruppi nazionalisti e di estrema destra che diffamano i giornalisti in Spagna (29˚posto nell’Indice), Austria (18˚posto), Italia (41˚posto) e Grecia (65˚posto).
Infine, enormi preoccupazioni sono espresse nel documento relativamente alla crisi economica, che impatta sulla qualità del giornalismo. La trasformazione digitale ha drasticamente ridotto le entrate dei media, una situazione che espone le redazioni a pressioni economiche che mettono a rischio la libertà editoriale ed a condizioni di lavoro, come la precarietà e il ricorso a pagamenti minimi che, come denunciano le associazioni sindacali, rischiano di tramutarsi in un drastico peggioramento dell’attività giornalistica, che perderebbe in qualità e professionalità.
Per quanto riguarda l’Italia, nell’analisi di Reporter senza Frontiere viene posto l’accento sugli oltre 20 giornalisti costretti a vivere sotto la protezione delle forze dell’ordine a causa delle minacce mafiose ma anche per “casi di violenza fisica e verbale da parte di gruppi appartenenti all’ala neofascista”. Il nostro paese si posiziona nella classifica dell’Indice sulla libertà di stampa alla 41esima posizione su 180 paesi. La Norvegia è al top per il quarto anno, seguono Finlandia e Danimarca. La Corea del Nord ha sostituito il Turkmenistan all’ultimo posto, mentre l’Eritrea (178˚posto) continua ad essere il paese africano peggio posizionato.
Lia Curcio

Sono da sempre interessata alle questioni globali, amo viaggiare e conoscere culture diverse, mi appassionano le persone e le loro storie di vita in Italia e nel mondo. Parallelamente, mi occupo di progettazione in ambito educativo, interculturale e di sviluppo umano. Credo che i media abbiano una grande responsabilità culturale nel fare informazione e per questo ho scelto Unimondo: mi piacerebbe instillare curiosità, intuizioni e domande oltre il racconto, spesso stereotipato, del mondo di oggi.